Caso Sallusti

Giornalisti in galera: l'Italia come Cuba

Dopo i domiciliari al direttore, l'Italia inclusa nella lista nera degli Stati che imprigionano la libertà di stampa

Il direttore Alessandro Sallusti al tribunale di Milano
Il direttore Alessandro Sallusti al tribunale di Milano

Questo primato ci mancava e, a dirla tutta, ne avremmo fatto volentieri a meno. E invece no: l'Italia entra a piedi uniti anche nella poco gloriosa classifica dei paesi che ammanettano i giornalisti. Imbarazzante fin che si vuole, ma come si sa il 2012 ci ha portato in regalo il caso Sallusti. Sì, Alessandro Sallusti, direttore del Giornale, ora agli arresti domiciliari per un articolo diffamatorio che nemmeno aveva scritto. La vicenda viene rilanciata dal Cpj, acronimo per Committee to protect journalists, un organismo che si occupa di tutelare il quarto potere nei molti paesi in cui la stampa soffre e va in galera, quando non finisce sottoterra.

In testa alla classifica, per intenderci, c'è la Turchia con 49 giornalisti in carcere e poi colossi della democrazia come l'Iran, seconda a quota 45, la Cina, terza a 32, e l'Eritrea, a 28. Insomma, il numero dei reporter detenuti è un buon indice del grado di autoritarismo di uno stato. Da qualche giorno ci siamo pure noi, con Alessandro Sallusti blindato nella sua casa milanese. Il confronto non può che far male: siamo allo stesso livello, indecente, del Bahrain, scosso invano dal vento della primavera araba, del Burundi e della Cambogia. E ancora del Gambia, dell'Iraq, che ancora sopporta sulla propria pelle le convulsioni del dopo Saddam Hussein, e, udite udite, della Cuba di Fidel Castro. Mortificante. Davvero siamo finiti dentro una lista impresentabile. In tutto il mondo i giornalisti in manette sono 232. Un numero elevatissimo, anche se si può notare che la metà abbondante delle vittime è concentrata in pochi punti sul mappamondo: Turchia, Cina, Iran ed Eritrea.

Peccato che i parlamentari non abbiano ricevuto in tempo l'aggiornamento di questa sconfortante mappa dei diritti negati a tutte le latitudini. Forse avrebbero sviluppato più facilmente una piccola ma utile riflessione sulla libertà e avrebbero agito di conseguenza. Invece non se n'è fatto nulla: dopo aver litigato con i codici e pasticciato con le norme per mesi, deputati e senatori hanno affondato la nuova legge che avrebbe eliminato la galera per i cronisti e i direttori. Anzi, alcuni parlamentari, di destra e di sinistra, hanno alzato la voce e difeso a spada tratta la sanzione del carcere per i giornalisti che sbagliano. Certo, tecnicamente non si può dire che la diffamazione sia un reato d'opinione ed è vero che chi sparge notizie calunniose può fare male, molto male. Non solo: nessuno vuole mettere sullo stesso piano la lotta coraggiosa dei reporter iraniani o di quelli cubani contro la tirannia dei regimi polizieschi e la situazione del nostro Paese. Ci mancherebbe. Roma non è Teheran.

Ma resta il fatto, sconcertante, che oggi un giornalista possa essere arrestato e trasferito in cella, come un criminale qualunque. Senza nemmeno il paracadute della condizionale, negata a Sallusti e concessa invece a molti ladri, scippatori e truffatori. Così, ce la giochiamo con il Marocco che tiene in galera due Sallusti. E con l'India che nega la libertà a tre reporter. Oltre, va ricordato, ai due marò che la nostra diplomazia non è ancora riuscita a riportare in patria.

Davvero, il 2012 è da questo punto di vista un anno da dimenticare.

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