Politica

La gip dà lezioni di deontologia e poi fa la star

Olga Tarzia approfitta della notorietà per parlare dei massimi sistemi a un quotidiano locale

La gip dà lezioni di deontologia e poi fa la star

Reggio Calabria Il Gip che incarcera Scajola si concede un'intervista: «Non esistono sentenze o ordinanze politiche. È la politica che vuole dare un tono alle decisioni del giudice».

Olga Tarzia non ce l'ha fatta a resistere alle lusinghe della notorietà o, più probabilmente, alle pressioni dei giornalisti. A fine marzo, dopo aver dato lettura nelle aule del Tribunale di Reggio Calabria del dispositivo di condanna dell'allora presidente della Regione Peppe Scopelliti, s'era subito eclissata dalle scene. Alla fine, però, anche lei ha ceduto. Giusto un po', tenendo bassi i toni e senza entrare nel merito delle questioni trattate da magistrato, ma abbastanza da finire nelle cronache regionali del Quotidiano della Calabria. Per molti versi uno scoop, se si guarda al suo ruolo di presidente della sezione Gip e Gup del Tribunale reggino e si considera che sua è la firma sotto le ordinanze che hanno portato in carcere, tra gli altri, l'ex ministro dell'Interno Claudio Scajola. Dell'affaire Matacena nel botta e risposta con il cronista si limita a dire d'aver «ripassato l'ordinanza ascoltando i tg e leggendo i giornali, alcuni dei quali addirittura hanno avuto cura di riportarla per intero».

Non si sottrae invece al quesito sulle relazioni tra magistratura e politica: «I politici hanno un'idea della deontologia che non è coerente. Un magistrato è una persona come tutte le altre, che vota e ha una propria idea politica, ma noi non valutiamo le idee, bensì le condotte illecite, il fatto in sé». Quando poi il cronista chiede se lo stesso valga anche «nel caso di sentenze definite esemplari», con condanne «andate oltre le richieste dei pm», la strada si fa sdrucciolevole: per Scopelliti, condannato dal collegio presieduto dalla Tarzia a 6 anni di reclusione, la Procura aveva chiesto 5 anni di carcere. Ma i retropensieri sono tutti e solo per il lettore disattento: il ragionamento è generico. Riguarda il principio, non il caso specifico. «In qualche circostanza - risponde la Tarzia - si alimentano reazioni spropositate, perché si parla di sentenze a orologeria, ma a volte basta leggere un'ordinanza cautelare per capire. Spesso non c'è neanche bisogno del commento del giudice perché il reato è là, e lo possono leggere tutti».

Fatta salva la deontologia, resta il dibattito sui rapporti tra media e potere giudiziario. Il presidente Napolitano da sempre sponsorizza per i giudici «riservatezza, riserbo, niente interviste». «Sono per magistrati che non parlano dei provvedimenti, ma li scrivono», dettava alle agenzie di stampa lo scorso febbraio il vicepresidente del Csm, Michele Vietti. «I giudici parlino con le sentenze, non con le interviste», gli faceva eco negli stessi giorni Antonello Racanelli, di Magistratura indipendente.

Chissà: loro pensavano forse a qualcuno in particolare, e non parlavano in generale.

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