Politica

La giudice rossa che perdona i killer e punisce i poliziotti

L'assurdo meccanismo del tribunale di Sorveglianza: gli eroi dell'antimafia ai domiciliari, Gagliano a casa

Gli eroi dell'antimafia ai domiciliari, il serial-killer in permesso premio. C'è qualcosa che non quadra e anzi stride nei provvedimenti del tribunale di Sorveglianza di Genova. Qualcosa che colpisce ancora di più perché le vicende dei superpoliziotti finiti nei guai per il G8 e dell'assassino svanito nel nulla sono andate avanti in parallelo. E nelle stesse ore in cui Bartolomeo Gagliano spariva nel nulla, Gilberto Caldarozzi, un pezzo di storia italiana nella lotta alla criminalità, veniva blindato in casa, con la possibilità di uscire solo per due ore, dalle 10 alle 12.
Gilberto Caldarozzi, per intenderci, è il superdetective che ha catturato i boss dei boss, da Piddu Madonia a Nitto Santapaola fino a Bernardo Provenzano. Un curriculum impressionante. Non gli è servito per evitare l'onta della detenzione domiciliare, ratificata dal tribunale di Sorveglianza di Genova. Da sabato scorso è chiuso in casa a Roma per scontare una pena residua di 8 mesi scarsi. Otto mesi: chiunque altro avrebbe ottenuto una misura alternativa soft come l'affidamento in prova ai servizi sociali. Caldarozzi no. E il no è stato ripetuto a tutti i dirigenti e funzionari di polizia coinvolti in quella vicenda: l'altro ieri è stato chiuso in casa Filippo Ferri, ex capo della squadra mobile di Firenze. Pur per lui vale lo stesso criterio adottato per Caldarozzi e per gli altri poliziotti.
Attenzione: stiamo parlando di servitori dello Stato, alcuni con una carriera strepitosa, condannati per falso in atto pubblico e che, in parte, continuano a proclamarsi innocenti. Le pene oscillano sulla carta fra i 4 e i 3 anni, ma per via dell'indulto si assottigliano a pochi mesi. La procura generale e il tribunale di Sorveglianza, che in questi giorni sta producendo una sfilza di provvedimenti che si assomigliano come gocce d'acqua, hanno usato invece il pugno di ferro. E però i fatti contestati, risalgono all'ormai lontano 2001. Dodici anni fa.
Curioso. Daniela Verrina, il giudice che aveva concesso a Gagliano il permesso premio, ora spiega che l'ultimo reato commesso dall'evaso risaliva al 2005. Certo, un permesso non può essere equiparato all'affidamento in prova, che è cosa diversa, ma i criteri utilizzati per scegliere sono molto interessanti. Daniela Verrina, legata a Magistratura democratica, la corrente di sinistra della magistratura italiana, insomma ha dato credito, anche se lei preferisce il vocabolo «chance» a Gagliano, i suoi colleghi hanno negato qualunque chance ai poliziotti del G8. E ora proprio lei dovrebbe decidere le sorti di Francesco Gratteri, che in coppia con Caldarozzi ha firmato l'inchiesta da manuale sulla strage alla scuola di Brindisi e ha dato un nome, Giovanni Vantaggiato, al mostro ripreso dalle telecamere, mentre si allontanava dopo il massacro.
Certo, non è possibile sovrapporre come figurine storie diverse, ma qualche riflessione si deve pur fare. «Tutto ma proprio tutto - ha detto Daniela Verrina a Marco Menduni del “Secolo XIX” - lasciava pensare che non sarebbe accaduto nulla, che Gagliano fosse ormai completamente recuperato e non avrebbe più rappresentato un pericolo per nessuno».
Gagliano era evaso cinque/sei volte, aveva ucciso tre persone, sfondando il cranio di una prostituta con una pietra, era stato fermato per estorsione pochi giorni dopo l'ennesima scarcerazione per via dell'indulto. I poliziotti, colpevoli di un solo reato, avvenuto 12 anni fa, non sono evidentemente sullo stesso piano. Caldarozzi, Ferri, e tutti gli altri svolgevano attività di volontariato, ma anche questo è risultato ininfluente per la concessione di una pena soft.
Anzi, non ci fosse stato il provvidenziale decreto svuotacarceri, quei poliziotti decorati sarebbero finiti fatalmente in cella. Di più, con Caldarozzi si è andati oltre con un braccio di ferro supplementare: la Procura generale gli aveva chiesto scuse pubbliche per le violenze al G8 e il tribunale di sorveglianza aveva avallato quella linea. Lui ha rifiutato affermando di essere innocente e di non dover chiedere perdono di nulla. Risultato: l'investigatore è arrivato ad un passo dalla cella, perché la procura generale riteneva che con lui lo svuotacarceri non dovesse essere applicato. C'è mancato poco, poi la Cassazione ha confermato la detenzione domiciliare.
Di nuovo si resta spaesati davanti a questi provvedimenti così duri e nel leggere invece le parole di comprensione spese dalla Verrina per Gagliano: «Il comportamento di quell'uomo fra le mura del carcere da tre anni era irreprensibile. Il fine pena era fissato per l'aprile 2015, non lontano nel tempo. E poi c'era una madre anziana». Gli affetti, dunque.

Le medaglie e le storie personali degli uomini in divisa invece valgono come carta straccia.

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