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Governo blindato: slitta a dopo le Europee il voto sull'Italicum

Il leader Pd ironizza sulle auto blu: "Io demagogico? Sì, è vero". Più poteri al premier, no del Colle. Nel partito scontro sul lavoro

Governo blindato: slitta a dopo le Europee il voto sull'Italicum

Lunedì il governo vara il progetto di riforma del Senato e del regionalismo, che va all'esame di palazzo Madama con un iter «più rapido possibile», annuncia Matteo Renzi. La seconda lettura dell'Italicum, slitta quindi a dopo la riforma costituzionale, e a dopo le Europee. Rendendo impossibile andare a elezioni politiche.
Mentre sul decreto Lavoro il premier non ha alcuna intenzione di mollare, nonostante gli alti lai della sinistra Pd filo-Cgil, che vuol cavalcare questo tema per tentare di ritrovare un ruolo di opposizione «laburista» allo schiacciasassi di Palazzo Chigi. «Non capisco i toni da ultimatum sul decreto Poletti», dice Renzi davanti alla Direzione Pd, riunita ieri pomeriggio a Roma per dare il via alla nuova infornata di riforme. «Le proposte su apprendimento e contratto a termine sono due punti intoccabili», scandisce, «vogliamo migliorarli? Bene. Ma sia chiaro che non sono argomenti a piacere, come a scuola quando si voleva cavarsela alle interrogazioni». La minoranza interna accusa il colpo e tenta la resistenza. Chiede, col bersaniano Davide Zoggia, che non si voti «per non blindare stasera la discussione, e approfondire il tema». Il segretario fa orecchie da mercante, e mette ai voti la sua relazione, decreto Poletti incluso: finisce con 93 sì, 12 no (i civatiani) e otto astenuti (i cuperliani). E con due vicesegretari, il renziano Guerini e la franceschiniana Serracchiani, che la minoranza non voleva far nominare in attesa di trattare un proprio ingresso in segreteria.
«Si va dritti», spiega Renzi a chi, tra i suoi, lo invitava a pazientare e a trattare un po' di più con la fronda interna, ben sapendo che in Parlamento i rischi non mancano. Ma Renzi si mostra assai sicuro di sé e dei risultati che già può esibire. Tanto sicuro da rivendicare persino un tocco di «demagogia» nella vendita online delle autoblù come negli 80 euro in busta paga: «Ma mentre i 5 Stelle stanno sul tetto e chiacchierano dei problemi, noi li risolviamo».
Già si è dovuto subire lo slittamento della legge elettorale, perché «nemmeno De Gasperi e Moro riuscirebbero a riformare il Senato nei 28 giorni di lavoro di qui alle Europee», come spiega il senatore Russo. Già si è dovuta accantonare l'idea di rafforzare i poteri del premier, in accordo con Forza Italia, a causa dei chiari segnali di disappunto arrivati dal Quirinale, «che non vuole un ulteriore ridimensionamento dei poteri del Colle, che con il premierato forte ci sarebbe», spiega un esponente del governo. Sul resto, però, Renzi non vuole subire ulteriori freni o «ultimatum». «L'esigenza di andare di corsa», spiega, «non dipende da mie nevrosi personali, ma dalla consapevolezza che il rispetto dei tempi delle riforme è credibilità verso i cittadini e le istituzioni internazionali: se non siamo in grado di cambiare le cose qui, con che faccia andiamo a dire all'Europa di cambiare?». Le critiche della Cgil al decreto lavoro vengono liquidate bruscamente: «Con le regole condivise dai sindacati siamo passati in questi anni dal 25% al 44% di disoccupazione giovanile». Concetti a dir poco sulfurei per la sinistra Pd: «Continuiamo ad essere subalterni al liberismo, la proposta Poletti è la proposta della destra, e io non sono disponibile a questa umiliazione intellettuale», tuona Stefano Fassina. La prossima settimana Poletti incontrerà i parlamentari Pd, e chiarirà quali sono i margini di trattativa - pochi - che il governo si è lasciato. «È stato un perfido colpo di genio di Renzi far fare una riforma liberale ad un comunista emiliano come Poletti», dice Paolo Gentiloni. Forza Italia, col capogruppo Brunetta, già lancia la sfida: «Noi siamo pronti a votarla». Un appoggio che sarebbe un problema per Renzi, se il Pd invece si spaccasse.

«Rischia di dover mettere la fiducia, e non sarebbe bello», nota dalla minoranza Matteo Orfini.

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