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Il governo è in caduta libera, Berlusconi pronto allo strappo

Ipotesi appoggio esterno per fermare "lo scempio" di Letta e Pd su Stabilità e decadenza. Crisi pilotata: un ritorno alle urne sarebbe solo un regalo a Grillo e alla sinistra

Il governo è in caduta libera, Berlusconi pronto allo strappo

«Non voglio far cadere il governo. Ma non resto a guardare il duplice scempio che Letta e il Pd stanno portando avanti». Ieri lo ha ripetuto per l'ennesima volta Silvio Berlusconi, sempre più convinto che la coabitazione con i democrat sia destinata a diventare «insostenibile» se la legge di Stabilità non sarà «completamente riscritta» e se il 27 novembre il Pd «voterà la mia decadenza da senatore». Il che – spiega da Arcore il Cavaliere a chi ha occasione di sentirlo telefonicamente – non significa «aprire la crisi di governo», visto che l'ex premier non ha intenzione né di prendersi la responsabilità di un ritorno alle urne né di fare un favore a Beppe Grillo o a Matteo Renzi che alle elezioni anticipate guardano da tempo con interesse.

Detto questo, su una legge di Stabilità che «colpisce soprattutto il nostro elettorato di riferimento» e sulla scelta di «estromettere dalla politica il leader del principale partito alleato» sembra proprio che Berlusconi non abbia intenzione di restare alla finestra. Perché – è il senso dei suoi ragionamenti – una cosa è mostrarsi responsabile e non aprire una crisi al buio, altro è rimanere inerte. Chi mi chiede di non far nulla davanti a questa legge di Stabilità e al Pd che mi punta la pistola alla tempia – ripete da giorni l'ex premier durante le riunioni che si susseguono tra Palazzo Grazioli e Villa San Martino – è «evidentemente in malafede». Un Berlusconi che accettasse in silenzio tutto questo, infatti, non farebbe che dare ragione a chi sostiene che la sua leadership è ormai irrimediabilmente incrinata.

Il Cavaliere, ovviamente, non è affatto di questo avviso. E se pure è pronto a non far cadere il governo è comunque deciso a chiedere ai «suoi» ministri di fare un passo indietro qualora le cose non cambino. Insomma, esecutivo in salvo ma con Forza Italia che si chiama fuori dalla maggioranza e che deciderà di volta in volta come votare su ogni provvedimento. E quindi appoggio esterno al governo. Perché – teorizza l'ex premier - davvero «non ha alcun senso continuare a coabitare in una maggioranza dove le nostre richieste sulla legge di Stabilità non vengono accolte e in cui i presunti alleati sono i promotori della mia eliminazione politica». Non è un caso che nel faccia a faccia di giovedì scorso con Angelino Alfano il Cavaliere abbia elencato una serie di «buone ragioni» che lo spingono in questa direzione. Non solo il fatto che non si può essere «succubi» della politica economica del Pd o che la leadership dell'ex premier ne uscirebbe decisamente appannata se restasse fermo davanti al Pd che lo fa decadere, ma pure il fatto che in questi sei mesi «il governo non ha fatto nulla», tanto che l'ultima rilevazione di Alessandra Ghisleri arrivata sulla scrivania di Berlusconi fa registrare per l'esecutivo un crollo verticale di ben 15 punti negli ultimi due mesi.

Di qui la decisione del Cavaliere che non sembra vedere alternative al ritiro della delegazione governativa. A quel punto ogni ministro deciderà il da farsi ed è probabile che la frattura si consumerà (sempre che non sia già arrivata, come è probabile, nel Consiglio nazionale del 16 novembre). Un pezzo del partito, dunque, si staccherebbe e resterebbe a sostenere il governo. Con numeri risibili, visto che se anche i voti di maggioranza arrivassero a 15 in più tra questi ci sarebbero da contare non solo i senatori a vita, ma pure chi ricopre incarichi di governo o presiede commissioni parlamentari, tutte attività che ne riducono praticamente a zero la presenza in aula. Per Letta, insomma, l'incidente sarebbe ad un passo.

Anche perché – fa giustamente notare Augusto Minzolini - a cercarlo a quel punto sarebbero soprattutto il M5S e la pattuglia renziana del Pd.

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