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Il governo dei Pinocchio

Napolitano detta la linea, Renzi obbedisce: la spending review finirà a tarallucci e vino

Il governo dei Pinocchio

Napolitano, non potendo più essere contemporaneamente capo dello Stato e premier, come accadeva con Monti ed Enrico Letta, decide di fare il capo dell'opposizione e blocca il taglio della spesa, creando un altro problema a Renzi, che di problemi ne ha già molti di suo, come testimonia la fiducia sul ddl Province. Alla fine ha passato il turno, ma con il fiatone. Due soli voti sopra la maggioranza assoluta. È il segno di una maggioranza che a Palazzo Madama dovrà sempre affidarsi allo scatto finale e alla fortuna. Non proprio il massimo per chi deve scalare le riforme istituzionali e, ancora più difficile, portare l'Italia fuori da una crisi senza fine. E, sottotraccia, la situazione deve essere ancora più rischiosa se nel Pd commentano che il voto è andato meglio del previsto. Non è neppure un caso che Maria Elena Boschi, ministro delle Riforme, in mattinata avesse annunciato che sul decreto il Consiglio dei ministri avrebbe messo la fiducia. La fiducia è sempre un atto di debolezza. È il segnale che si temono imboscate. Ma il punto paradossale è proprio questo. Non sono tutti d'accordo nel tagliare la spesa pubblica?

In realtà il potere fatica a ridimensionarsi. Basta pensare alle preoccupazioni di Napolitano che invita ad andarci piano con la spending review. Quella del presidente non è soltanto una nostalgia di statalismo, in fondo scontata per un ex comunista. Non è neppure la preoccupazione per lo stipendio del capo ferroviere Moretti. È la difesa naturale della casta delle caste. Napolitano interviene per tutelare due lobby antiche e influenti. Quali sono infatti le categorie pubbliche che guadagnano di più? Magistrati e diplomatici. Ecco che qui la ratio delle preoccupazioni quirinalizie si svela. Tutto torna, tranne i conti pubblici.

Adesso il decreto sulle Province deve tornare alla Camera, per l'approvazione definitiva. È il solito giro di rimbalzi tra le due Camere: voti, approvi, vai dalla Camera al Senato, spunta qualche emendamento, voti, approvi e si torna al Senato. Alla faccia della fretta. Il tutto condito con vagonate di retorica più o meno populista. L'ultima è quella sugli stipendi alti, come se guadagnare bene fosse una vergogna in sé. La vergogna è guadagnare tanto e creare solo sprechi. È il peso dello Stato, i suoi mille affari indebiti, quelli da cancellare, da azzerare. Ma Napolitano non vuole.

E non solo lui.

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