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Il governo parte con le tasse Bot e rendite finanziarie già nel mirino del premier

L'uomo ombra di Renzi nega la patrimoniale ma preannuncia interventi sui titoli di Stato. Quindi le buone intenzioni: "Vogliamo aumentare il taglio del cuneo fiscale"

Il governo parte con le tasse Bot e rendite finanziarie già nel mirino del premier

Roma - È il battesimo televisivo del regista occulto del governo Renzi, dell'uomo che avrà l'ingrato compito di lavorare sotto traccia per creare l'amalgama tra le tante anime della maggioranza - Pd, Ncd, Sc, Pi, Udc, Psi, Cd che, uniti alle minoranze linguistiche di Sud Tirolo e Val D'Aosta raggiungono quota nove gruppi, inferiore solo all'Unione - coordinare le scelte dei ministri, delimitarne le invasioni di campo e tentare di far viaggiare l'esecutivo nella stessa direzione. Una impresa quasi impossibile a cui Graziano Delrio - neo sottosegretario alla presidenza del Consiglio, il ruolo che fu di Gianni Letta per intenderci - applicherà la sua dedizione e il suo profilo di uomo ombra di Matteo Renzi. Uomo ombra ma non invisibile, come ha dimostrato ieri, con la prima apparizione ufficiale da Lucia Annunziata a In mezz'ora. Un'intervista che fa subito scattare i primi elementi di polemica e preoccupazione, soprattutto per il popolo dei risparmiatori italiani e dei «Bot-people» in particolare.
«La patrimoniale? Non la faremo. L'Imu fu una patrimoniale a tutti gli effetti, il governo Monti la introdusse perché il Paese aveva bisogno di sistemare i conti» rassicura inizialmente Delrio. La somministrazione di zuccheri viene, però, subito interrotta e sostituita da una «promessa» che somiglia decisamente a una minaccia. Il sottosegretario alla presidenza del Consiglio spiega così il potenziale impatto di un futuro incremento di tassazione dei Bot: «Se una signora anziana ha messo da parte 100mila euro in Bot non credo che se gli togli 25 o 30 euro ne avrà problemi di salute». Pertanto «il governo valuterà un aumento delle tasse sulle rendite finanziarie che, al momento, non sono in linea con la tassazione europea» al 25%. Le risorse recuperate potranno essere utili per «destinare risorse alle fasce più deboli e mantenere in equilibrio i conti dello Stato». «Non vogliamo sfondare il tetto del 3%. Vogliamo andare in Europa a dire “non siamo l'Italia che annuncia ma siamo l'Italia che fa”». Nel libro delle buone intenzioni renziane ci sarebbe anche la riduzione delle tasse su imprese e lavoro dipendente, anche se le indicazioni su come finanziare gli interventi appaiono vaghe. «Intendiamo aumentare seriamente il taglio del cuneo fiscale. Pensiamo di ricavare risorse dalla spending review, da operazioni industriali e dal rientro dei capitali». La sortita di Delrio, però, fa subito storcere la bocca agli alleati di Ncd. E Renato Schifani non nasconde la propria aperta contrarietà: «Sono convinto che, nel campo della politica economica, non si possa più procedere con il fallimentare sistema di un aumento ulteriore della pressione fiscale. Neanche per soddisfare esigenze come la riduzione del costo del lavoro». A sera Palazzo Chigi corregge Delrio: «Non è prevista né ci sarà alcuna nuova tassa. L'orizzonte del governo è quello di una riduzione della pressione fiscale attraverso una rimodulazione delle rendite finanziarie e delle tasse sul lavoro». Tema che sarà annunciato oggi da Renzi al Senato.
Delrio, però, non si limita ad anticipare le prime mosse economiche dell'esecutivo ma scende anche su un terreno più politico. «L'Italicum non è congelato. Io ero presente alle consultazioni, ho sentito tutti i colloqui, dal partito più grande al più piccolo, e a tutti è stata detta la stessa cosa: bisogna approvare la legge elettorale alla Camera. In sei mesi avremo la legge elettorale fatta e le altre riforme. Quando sarà finito il semestre europeo speriamo che le riforme siano quasi completate». Quanto al caso Gratteri, mancato ministro della Giustizia, Delrio spiega: «Era in corsa, eravamo molto determinati sul suo nome, ma c'era un problema molto serio che non avevamo valutato, una grossa ingenuità.

Il fatto che un magistrato non vada al ministero della Giustizia è una regola impossibile da eludere».

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