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Grasso non è più pm: non si fidi di Woodcock

Neppure Prodi, il premier sfiduciato, si è costituito parte civile nel processo contro Berlusconi

Grasso non è più pm: non si fidi di Woodcock

Gentile presidente Grasso, non resisto alla necessità di scriverle su una materia che anche altri, prima di tutto lei stesso, dovrebbero perfettamente conoscere. Lei parla di scelta morale, di dignità del Senato. E io le rispondo che le scelte morali dipendono dalla verità, non dalle vanitose presunzioni dell'accusa o dal tentativo di un parlamentare traditore non di salvarsi l'anima ma qualcosa di più basso.

D'Altra parte lei dovrà riconoscere che non sempre il punto di vista dell'accusa coincide con la verità. E andrà detto che preliminare a ogni atto non è la tutela di un diritto eventuale, ma la presunzione d'innocenza. D'altra parte lei non può ignorare, benché suoi colleghi, che i pubblici ministeri Vincenzo Piscitelli ed Henry John Woodcock, abbiano spesso intrapreso vicoli ciechi. E che ognuno, nel lavoro, risponde delle sue azioni e per le sua capacità. Parimenti lei conosce o ha sentito parlare del senatore De Gregorio. E, sia come magistrato, sia come presidente del Senato, non può credere che le dichiarazioni di quel senatore corrispondano alla verità.

Lei afferma che De Gregorio «ha ammesso di aver venduto il proprio voto per denaro», e aggiunge, con ingenuità, che forse spiega in parte il suo comportamento: «Si può restare indifferenti e estranei a tutto questo?». Ovviamente no. Ma lei, da pubblico ministero non può considerare le parole di De Gregorio come oro colato. L'ex senatore non ha «ammesso», ha «detto» di aver venduto il proprio voto. Ed è contraddetto proprio dagli atti del Senato. Ha palesemente mentito. E allora perché Grasso, oggi presidente del Senato e non più magistrato, invece di affidarsi all'inchiesta di Woodcock e Piscitelli, non verifica gli atti parlamentari? Nel rapporto magistratura-politica gli errori sono frequenti, come dimostra il caso del sindaco di Campobello di Mazara, Ciro Caravà, tenuto in carcere per due anni, per esser poi assolto per non aver commesso il fatto. Andrà detto che confidare nell'azione della magistratura non vuol dire condividere la posizione dell'accusa. E il suo eccesso di zelo, rispetto al processo sulla compravendita, mortifica la democrazia parlamentare e impone un'interpretazione umiliante della funzione giudiziaria che calpesta la verità. Ed essendo lei non più pubblico ministero ma presidente del Senato, non posso credere a una sua visione giustizialista grossolana.

Come le dicevo, gli atti parlamentari parlano. E, come ho già scritto, il senatore De Gregorio negoziò la sua nomina a presidente della commissione Difesa del Senato chiedendo i voti del centrodestra ed essendo eletto al posto della candidata del centrosinistra Lidia Menapace, con la benedizione del presidente Schifani. Uscì perciò, coerentemente, dal gruppo dell'Idv e si iscrisse al gruppo misto votando la sfiducia a Prodi già nel 2007. Nessuna compravendita. Egli era, d'altra parte, già stato esponente e candidato di Forza Italia nelle precedenti regionali in Campania, in una evidente indifferenza alla coerenza politica (e, se vuole, morale).

Questo precedente è stato evidentemente ignorato dai pm e dal gip, con colpevole ignoranza. Prenderne atto le avrebbe consentito, a tutela del Senato, di essere veramente indipendente e di non fare osservazioni affrettate che nel processo potrebbero essere smentite. Ma lei veramente può ignorare questo precedente? Può accomodarsi in maniera così ingenua all'ipotesi giudiziaria dei magistrati di Napoli? De Gregorio avrà probabilmente cercato di vendere a Berlusconi non il suo voto ma l'organizzazione e l'attività della sua componente politica. Come sia stato o non sia stato pagato, è questione che non riguarda il «presunto processo della compravendita». Con tutto il colore del personaggio che lo ha contrabbandato ai magistrati. I quali anche potevano risalire agli atti parlamentari del giugno 2006, quando avvenne il passaggio da sinistra a destra di De Gregorio. Quanto alla «fiducia» del 2008, è sufficiente risalire alla «pubblica» testimonianza del presidente Prodi (il maggior colpito, da cui Grasso dovrebbe prendere esempio perché ha deciso di non costituirsi parte civile) che attribuì la caduta del suo governo, non al voto di De Gregorio, ma alle dimissioni del ministro della Giustizia Mastella, determinate da un'altra discutibile indagine.

Dunque, presidente Grasso, si ravveda, proprio per la dignità dell'istituzione che presiede e per il dovere morale di stare dalla parte della verità storica, non dalla parte della verità giudiziaria. Ritorni in sé, nel suo ruolo, verifichi le mie parole e abbandoni l'abito del Pubblico ministero che per tanti anni ha indossato con onore, ma che oggi appare un intollerabile travestimento (da qui le polemiche) della sua attuale condizione.

press@vittoriosgarbi.it

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