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Grillo si piega al Pd sulle riforme

I democrat chiedono garanzie scritte sull'Italicum e fanno saltare l'incontro con il M5S. Che in serata dice sì a tutto

Grillo si piega al Pd sulle riforme

Le Riforme 2.0 corrono vorticose tra insulti, ripicche, «vaffa», momenti di stasi e accelerate improvvise. Così ieri, la giornata dell'attesissimo incontro tra Renzi e i Cinquestelle sull'Italicum. Il premier arrocca il Pd in una posizione «dura», talmente dura da provocare quasi un terremoto dentro il Movimento grillino. I primi cinguetii di Matteo via twitter non vanno tanto per il sottile: «Io sono un ebetino, dice Beppe, ma almeno voi avete capito quali sono gli 8 punti su cui #M5S è pronto a votare con noi? #pochechiacchiere». Il segretario del Pd impone risposta scritta ai dieci-quesiti-dieci assegnati ai grillini come compiti a casa. Provocazione decisa, con l'ala «aperturista» del M5s pronta a cedere e Grillo che piomba alla schiena come Zuniga su Neymar. «È gente falsa e ipocrita. Renzi, le cui palle sono sul tavolo di Verdini e Berlusconi, è un ebetone pericolosissimo! Andiamo verso una grande criminalità organizzata di stampo democratico, scivoliamo verso la dittatura. Ma M5S non starà a guardare». Palazzo Chigi non molla di un centimetro: «Non è uno scherzo, sono le regole! Chiediamo un documento scritto per sapere se nel M5S prevale chi vuole costruire o solo chi urla». Serve a poco che il sanculotto Di Maio abbia già concesso un'intervista per lanciare l'amo grosso («Siamo d'accordo otto punti su dieci»). I renziani, messi alle strette, ora rilanciano col bluff. «Meglio per iscritto, altrimenti è inutile vedersi». La trattativa va avanti, estenuante. Volano parole grosse, ma il tavolo del dialogo non si chiude, conferma Grillo, e per tutto il pomeriggio pare che si lavori di fino alla Casaleggio Associati. In serata, schiarita totale dopo l'appello che arriva dal Quirinale e che suona come una spallata (ai limiti del regolamento) in favore di Renzi. I grillini rispondono dieci «sì» alle dieci domande. Ma ogni risposta è corredata da una nota che ne renderà comunque difficile l'accordo finale. Comunque è un modo per andare avanti, e non rovesciare il tavolo: segno tangibile che anche nel popolo del Web il decisionismo renzista (cambiare in fretta purchè si cambi) comincia a far breccia. A Palazzo Chigi la prendono come una «vittoria su tutta la linea». «Così i grillini scendono definitivamente dal tetto, rispondendo voce per voce - spiega Matteo all'entourage - dimostrano che hanno capito come fossero condannati all'irrilevanza, per cui adesso aprono. La loro disponibilità è reale, e interessante è anche l'apertura sul ballottaggio».
Per Renzi non ci sono dubbi: «Portiamo a casa il prima possibile l'abolizione del Senato», dice ai suoi (l'obbiettivo è arrivare al prossimo vertice Ue con la Merkel il 16 luglio con il primo «sì» alla riforma), e «subito dopo passiamo alla legge elettorale» - dove, non si dimentichi, si dovrà giocare su due fronti, perché non è detto che Berlusconi accetti l'accelerazione. Ma il vero problema resta il dissenso pidino sull'abolizione del Senato. All'assemblea che si conclude in nottata matura un rinvio all'inizio della prossima settimana dell'arrivo in aula del ddl Boschi, prolungando ancora un po' la discussione in commissione (stamane ci saranno altre votazioni sugli emendamenti). I ribelli non ammainano la bandiera. «Ci lasci almeno libertà di coscienza», piagnucola Mineo. Si fa strada un documento Russo di mediazione. I «facilitatori» cercano una quadra, ma i venti ribelli (vengono dati in diminuzione) restano sospesi fino alla prossima riunione.

Quando, è stato deciso ieri, si voterà.

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