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Guai a raffica per Vendola: seconda inchiesta in 24 ore

La procura di Bari chiude la maxi inchiesta sulla sanità: 47 persone coinvolte. Seconda indagine in meno di 24 ore per Vendola per una sospetta transazione da 45 milioni di euro

Guai a raffica per Vendola: seconda inchiesta in 24 ore

Nichi Vendola è inciampato in quel marasma che è la sanità pugliese. Altro che superiorità morale: due inchieste in meno di 24 ore. Altra inchiesta, altra storia: il pasticciaccio che tira in ballo anche il governatore del Sel è esploso nelle ultime ore quando un avviso di conclusione delle indagini è stato notificato dalla procura di Bari a 47 persone coinvolte in una delle inchiesta sulla gestione della sanità pugliese. Un'inchiesta che serve ad accertare gli accreditamenti delle cliniche private. Tra gli indagati ci sono pure il senatore democratico Alberto Tedesco, l'ex direttore Ares Mario Morlacco, un luogotenente della Guardia di Finanza, imprenditori e dirigenti regionali.

Un vero e proprio terremoto per la sinistra pugliese. La mala gestione della sanità nella terra di Vendola rischia di far implodere il sistema sanitario dell'intera Regione. Le accuse formulate dagli inquirenti vanno dall’associazione per delinquere al falso. Secondo l’accusa, infatti, la Giunta guidata da Vendola avrebbe nel corso degli ultimi otto anni concesso accreditamenti a strutture sanitarie che non avrebbero avuto i requisiti. L’inchiesta, condotta dai pm Francesco Bretone, Desiree Digeronimo e Giorgio Lino Bruno, parte dalla clinica Kentron di Putignano, oggetto di una lunga inchiesta del nucleo di polizia tributaria della Guardia di finanza. E al centro dello scandalo c'è pure il governatore della Puglia. "Chi fa un mestiere come il mio mette nel conto i rischi oggettivi che ci sono - commenta Vendola - un concorso in abuso d’ufficio è il titolo di una ipotesi di reato. Ho le spalle larghe anche perchè ho la coscienza molto pulita".

Oggi, però, il presidente ha ricevuto l’avviso di conclusione delle indagini della Procura di Bari su una transazione da 45 milioni di euro conclusa tra la Regione e l’ospedale Miulli di Acquaviva delle Fonti. Questa volta i reati ipotizzati sono abuso d’ufficio, peculato e falso. Dopo l’avviso di garanzia notificato ieri per concorso in abuso d’ufficio su presunte pressioni per la nomina di un primario, Vendola si ritrova coinvolto in un’altra vicenda giudiziaria nata come costola della maxi inchiesta sull'associazione a delinquere guidata da Tedesco che per anni avrebbe gestito una parte della sanità pugliese. Il senatore del Pd aveva, infatti, seguito anche l’accordo con l'ente di Acquaviva delle Fonti. Atto poi però concluso e ratificato dalla successiva composizione della giunta Vendola. Il problema riguarda proprio quella delibera, poi annullata in autotutela dalla stessa giunta Vendola e che oggi, dopo un contenzioso col Miulli finito davanti al Consiglio di Stato, sta costringendo la Regione a restituire all’ente di Acquaviva differenze tariffarie per 150 milioni di euro. Proprio per questo sono indagati Anche il vescovo Mario Paciello e don Mimmo Laddaga, direttore dell’ospedale ecclesiastico Miulli di Acquaviva.

Nel complesso, a detta dell'accusa, sarebbero sei le società che hanno beneficiato, senza averne i requisiti, delle procedure amministrative per il rilascio dei provvedimenti autorizzativi sanitari provocando danni per milioni di euro alle casse della Regione. Numerose le società coinvolte: dalla "Cbh-Città di Bari Hospital" di Modugno alla Kentron di Putignano, dal Gruppo Villa Maria di Lugo alle Case di Cura Riunite Villa Serena e Nuova San Francesco di Foggia. Tra i dirigenti coinvolti invece figura anche Lucia Buonamico, responsabile del settore programmazione e gestione sanitaria della Regione Puglia. Quest’ultima avrebbe gestito "in maniera clientelare" le procedure per alcune strutture sanitarie. "Le scelte di Buonamico - spiega la procura - hanno orientato gli impegni di bilancio regionale per la sanità privata in Puglia verso imprenditori amici della dirigente, ai danni del Fondo sanitario regionale".

Secondo la Guardia di Finanza, in sieme ad altri pubblici ufficiali, la Buonamico era asservita agli interessi imprenditoriali di alcuni soggetti "in totale spregio dei principi di trasparenza, di buona e corretta amministrazione della cosa pubblica".

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