Cronache

In squadra con gli uomini La donna che ha vinto i tabù

Mariateresa Mele è la prima ragazza a disputare una gara in una serie A maschile: "In campo non mi sento diversa"

In squadra con gli uomini La donna che ha vinto i tabù

Teta spingeva sui pattini con il solito fervore, quel giorno. Lei era la stessa di sempre, erano gli altri a essere diversi. I suoi compagni di squadra, i suoi avversari non erano donne: erano uomini. «E allora?». Per lei non faceva differenza, anche se aveva realizzato qualcosa di storico: essere la prima donna a giocare in un torneo maschile professionistico.

Chi è Teta? Una ragazza qualunque, lo era prima, lo è dopo. Mariateresa Mele ha 22 anni, studia Lettere a Bari e ha una passione: l'hockey su pista. Gioca nella squadra femminile del Matera, la sua città, ma per tutto l'anno si è sempre allenata con gli uomini. Fino all'esordio, nella serie A1: otto minuti in campo nel pareggio contro il Breganze.
Teta, la chiamano tutti. Lei non nasconde la felicità per aver toccato il cielo del suo sport preferito, che praticava sin da piccolissima. Ed è stupefacente riconoscere in lei l'assoluta naturalezza con cui ricorda che sì, una donna ha giocato insieme agli uomini: «Nell'hockey il regolamento lo prevede, non ci sono molti giocatori che praticano questo sport e allora è possibile che le donne vengano aggregate agli uomini». Sarà, ma intanto lei è la prima in assoluto. Il pensiero di aver compiuto una rivoluzione non la sfiora nemmeno: la naturalezza, dicevamo. «Magari noi donne nel gioco fisico siamo svantaggiate, ma non è un problema. Se ti sei allenata, se ti sei impegnata, meriti di giocare, indipendentemente dal genere. Nello sport come nella vita».

La scorza dura da materana, di chi viene da questa terra brulla. Senza ostentazioni, solo la costanza quotidiana di chi lavora in silenzio, come il bue simbolo della città, che «stanco, affonda la zampa più fermamente». Rivendica la propria identità, ma senza farne una questione ideologica: «Non credo che la donna sia discriminata al giorno d'oggi. Se qualcuno non arriva dove vuole, forse è perché non se l'è meritato». Già, i meriti che tornano, la strada maestra che le ha aperto le porte di un primato, di un destino unico. Capace di frantumare un tabù millenario. E però Teta non vuole ergersi a paladina di chissà cosa: considera questo traguardo semplicemente un successo personale. «È un momento che porterò sempre con me. Non mi piace metterlo in mostra, è una cosa mia e solo mia. Non lo scriverei neppure sul curriculum».

La sua vita non è cambiata, lei non è cambiata. Intorno «i soliti amici, la stessa quotidianità». Non sa cosa fare in futuro dopo l'università, sa solo che vorrebbe continuare con l'hockey. Con gli uomini o con le donne? Non se lo chiede, non ci pensa. Ma spera che la sua storia possa essere d'esempio per altri sport: «Credo che le squadre miste debbano essere una costante, non un evento eccezionale. Per esempio, nella pallavolo, dove non c'è contatto fisico, si potrebbe pensare di portare donne nelle formazioni maschili. Purtroppo, hockey a parte, nessuno ci pensa realmente. Ma per le donne sarebbe uno stimolo incredibile». È consapevole delle resistenze che si leverebbero a una proposta del genere. Ma Teta non ci fa caso. Come non ha badato a quanti hanno storto il naso nel vederla in campo con gli uomini: «Se ci sono stati, io non lo so e non voglio saperlo. Ognuno è libero di pensarla come vuole. A me è premuta una sola cosa: il fatto che i miei compagni di squadra mi hanno accolto benissimo e non mi hanno fatto pesare il mio essere donna.

Anzi, con loro non mi sono mai sentita diversa».

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