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I duri e puri dell'antimafia trattano con i boss in cella

L'Idv Alfano e il Pd Lumia dal capomafia Provenzano: "Pèntiti, e poi..". Il Corriere rivela tutto e loro si infuriano

I duri e puri dell'antimafia trattano con i boss in cella

Beccati, si può dire, col sorcio in bocca mentre avviano la trattativa Stato-mafia. Per carità, le intenzioni saranno pure nobili, ma allora bisogna ristabilire il criterio e la misura della nobiltà. I fatti li abbiamo appresi ieri dal Corriere della sera: l'eurodeputata Sonia Alfano dell'Italia del valori e Giuseppe Lumia del Partito democratico se ne vanno in giro per le carceri bussando alle celle dei mafiosi come i buoni frati, o monache, dei tempi di Galileo: «Pentiti! Diventa un pentito e collabora con la giustizia». Sono andati anche da Bernardo Provenzano e prima di lui da Filippo Graviano, Francesco Bidognetti e forse qualche altro mammasantissima in galera. I due parlamentari si sono seccati perché la notizia è trapelata manifestando così una bella faccia tosta.

Sono un parlamentare anch'io e posso spiegare come funziona questa storia delle visite in carcere. Deputati e senatori esercitano in nome del popolo il diritto di controllo sulle condizioni delle carceri e dei carcerati. Non è un privilegio, ma un potere di controllo. Naturalmente, una volta dentro puoi fermarti a chiacchierare con chi vuoi, ascoltare chi vuoi. Un conto è andare ad ascoltare quel che i detenuti, o un solo detenuto, hanno da dire, e tutt'altro conto è andare nel carcere per portare un messaggio al detenuto, anzi una proposta di scambio: se tu fai questo, noi in cambio facciamo quello. Che è esattamente ciò che accadde, mi sembra, al generale Mori quando si trovò di fronte a Ciancimino Jr che manteneva il dialogo aperto con Cosa nostra. Mori disse: «Che si arrendano, e in cambio lo Stato garantirà condizioni di vita decenti e sicure per le loro famiglie». La risposta del suo interlocutore, se non sbaglio, fu: «Allora, se questo è il messaggio, magari è meglio che la chiudiamo qui, sennò ci ammazzano tutti».

Trattativa Stato-mafia. Che ha un codicillo: oggi, nel 2012, dal punto di vista militare, dello scontro frontale, la mafia intesa come Cosa nostra è totalmente sconfitta, è agli arresti. Dunque, ciò che i mafiosi possono chiedere, al massimo, sono migliori condizioni di vita in galera e che le loro famiglie non subiscano condizioni di vita disumane. E infatti le cronache riferiscono che Bernardo Provenzano, questo diabolico padrino, è rimasto confuso, non ha capito bene che cosa gli veniva proposto ed ha detto: «Sì, ma i miei figli non devono andare al macello». E quando gli hanno detto che «lo Stato» (inteso come persone con licenza di trattativa) vorrebbe parlargli, il vecchio detenuto ha risposto: «Fatemici parlare, e poi sarà la volontà di Dio». Arrivò alla fine lo Stato, nelle persone di alcuni procuratori antimafia di Palermo e si resero conto che era tempo perso: quel boss dei boss non aveva nulla da dire, nulla da rivelare e nessuna voglia in particolare di fare nomi: «Non voglio far del male a nessuno». Dev'essere stata una scena manzoniana, con i birri che incalzano il vecchio brigante in ceppi, e quello che risponde come se fosse al rosario: «Sia fatta la volontà di Dio» e poi l'amnesia come malattia professionale: «Non tengo più memoria di qui vecchi fatti, chi se li ricorda, e non voglio fare mala figura». Il colloquio in particolare tra Sonia Alfano e Bernardo Provenzano si è svolto in stretto dialetto palermitano, il che conferma quanto sia importante parlare le lingue.

Altri colloqui con personaggi di minor spicco non hanno dato risultati migliori, ma il punto è che ci troviamo di fronte a un uso improprio e una confusione dei ruoli. Questo tipo di interviste tocca alla magistratura. Fare le leggi tocca ai Parlamenti e ai parlamentari. Se i giudici fanno i poliziotti, i giornalisti fanno gli agenti segreti, se i politici fanno i giudici, perché lamentarsi poi se i magistrati fanno i politici? Tutte queste confusioni e queste improvvisazioni (che non riescono nemmeno a restare segrete) dimostrano che c'è in giro più dilettantismo che professionalità.

E dunque ben venga, se si farà almeno nella prossima legislatura, una Commissione parlamentare d'inchiesta sulle trattative Stato-mafia, che sembrano improvvisazioni nello Stato di Pulcinella.

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