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Riccardo Gatti: "Per i giovani troppe droghe a portata di mano"

L'allarme del direttore del Dipartimento dipendenze Asl milanese: "Consumo frammentato e inconsapevole, norme da cambiare"

Riccardo Gatti: "Per i giovani troppe droghe a portata di mano"

Milano - Lo chiama il «consumatore a chilometro zero». Quello che trova con grande facilità, sotto casa, la cannabis. E poi magari va in farmacia e al supermercato, compra alcol e farmaci, ne fa abuso. Riccardo Gatti, psichiatra, psicoterapeuta, direttore del Dipartimento dipendenze della Asl di Milano, è un'autorità nel campo delle droghe. E fotografa una realtà che è profondamente cambiata rispetto a qualche anno fa.

Dottor Gatti, chi è il consumatore a chilometro zero?

«È quello predominante. Non è più legato ad una sola sostanza; anzi, ha a disposizione un pacchetto di sostanze di cui abusa. Un mix di droghe illegali, droghe illecite ma sdoganate nella mentalità comune come la cannabis, sostanze lecite che si comprano al bancone».

Risultato?

«Drammatico. Si è persa la consapevolezza che la droga sia il male. E faccia male. Oggi c'è in genere un percorso personalizzato, frammentato, inconsapevole. E c'è un mix caleidoscopico nei consumi. Oggi una droga leggera, che nella mentalità comune non fa male, domani un farmaco, poi una pastiglia, che fra altro è parente stretta del farmaco, dopodomani alcol e sigarette tradizionali. Il consumatore oggi naviga su internet, compra, prova e riprova, è convinto di poter padroneggiare la situazione».

Invece?

«Invece questo slalom fra sostanze illegali e legali, ma tutte dannose, nel tempo provoca devastazioni. A livello fisico e psichico. Il ragazzo fra vent'anni andrà fuori di testa e magari non si capirà nemmeno il motivo».

Le persone più mature sono abituate ad una divisione più netta: cannabis, cocaina, eroina. Non è più così?

«No, o meglio questa divisione vale ancora per gli uomini di quaranta, cinquant'anni. Ma i giovani e i giovanissimi non conoscono confini, non vedono le sfumature, perdono la consapevolezza della trasgressione».

Drogarsi non è più un atto di trasgressione?

«No, prevale una visione utilitaristica. Una volta la droga era legata ad uno stile di vita. Il cocainomane, almeno per un certo periodo, era quello che viveva una vita accelerata. Il colletto bianco che frequentava locali alla moda e faceva tendenza. Oggi quel clima non c'è più. C'è semmai in vasti strati della popolazione l'idea che la cannabis, dunque la marijuana, non faccia poi così male. La fumano i ragazzi, l'hanno fumata e la fumano ancora i loro genitori, non sarà lecita ma è stata sdoganata. Solo che oggi il ragazzo non si ferma allo spinello. Va oltre. Sperimenta. Il mercato non è più dettato dalle gradi organizzazioni criminali».

Dunque la criminalità ha perso il controllo del business?

«Assolutamente no. La grande criminalità fa brokeraggio a livello internazionale, il mercato è frastagliato e i prodotti cambiano continuamente. Se posso azzardare un paragone il mercato di droghe è un po' come quello televisivo. Una volta c'erano pochi canali e tutti schiacciavano quei tasti del telecomando. Oggi ciascuno si costruisce un palinsesto personalizzato, e, con l'aiuto delle tecnologie, registra, poi vede quel che vuole all'ora che vuole».

Con l'ultima sentenza della Cassazione che cosa accadrà?

«Aumenterà la pressione sui consumatori. Anche se le diverse sostanze sono già facilmente reperibili e il mercato è saturo. In ogni caso il legislatore dovrebbe rivedere le norme.

Le leggi sono vecchie e inadeguate».

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