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Il direttore di Panorama: "I giustizialisti ora non facciano i maestrini"

Giorgio Mulè: "Da noi nessun falso, è il partito del Fatto che vuole eliminare Napolitano"

Il direttore di Panorama: "I giustizialisti ora non facciano i maestrini"

Allora direttore Giorgio Mulè, voi di Panorama avete fatto uno scoop, e adesso sembra che vogliate destabilizzare l'Italia. Ti senti qualcosa sulla coscienza?
«La coscienza, grazie a Dio, è serena perché il lavoro, come al solito a Panorama, è stato fatto con coscienza seguendo i canoni del buon giornalismo d'approfondimento».

Ma è scoppiato un putiferio...
«Siamo alla fiera dell'ipocrisia. Vedere certi giornali, come Repubblica e il Fatto, che salgono in cattedra, vedere i maestrini del Fatto invocare l'intervento dell'Ordine dei giornalisti e scoprire, pensate un po', proprio da loro che un giornalista non può avere fonti anonime, suscita, una certa reazione di rigetto, se mi permettete. Quanto al sindacato dei giornalisti, il segretario della Fnsi, Siddi, da quanto leggo dalle sue dichiarazioni, mi sembra in preda al delirio».

Le brigate del nulla, hai scritto nel tuo editoriale, hanno bisogno di qualcosa per delegittimare il presidente della Repubblica?
«Certo. È il partito dei giustizialisti. Il partito dei Padellaro, dei Di Pietro, dei Grillo ma anche degli Ingroia, che fa intendere che scenderebbe in politica, non sotto l'emblema di un partito ma per conto proprio o, meglio, con un blocco di cui magari prendere le redini. Obbiettivo del partito dei giustizialisti, sostenuto anche dalla Fiom, quello di abbattere l'ultimo simbolo di credibilità: il capo dello Stato. Tolto di mezzo Berlusconi ora bisogna togliere di mezzo Napolitano».

Dal Colle parlano di «risibile» tentativo di ricatto, di «torbida manovra destabilizzante» e di «autentici falsi». Qualcosa da obbiettare?
«Nulla, se non che mi compiaccio delle parole di Napolitano perché non fanno altro che confermare la nostra tesi: e cioè che è in atto da mesi un tentativo di destabilizzare e delegittimare il capo dello Stato. Se non avessimo deciso noi di sgombrare il campo dagli equivoci, denunciando questo tentativo di ricatto, lo stillicidio delle indiscrezioni, delle rivelazioni e degli ammiccamenti sarebbe andato avanti ancora per chissà quanto tempo. Le parole di Napolitano sono la migliore conferma di come noi abbiamo visto giusto. Il tentativo di ricatto nei suoi confronti c'è, è in atto, ma non è stato architettato certamente da noi. Solo su un punto della nota del Quirinale dissento: le nostre ricostruzioni non sono autentici falsi, lo dimostrano alcune dichiarazioni dei protagonisti».

Per esempio?
«Per esempio quel “non confermo né smentisco” dietro cui si è trincerato il procuratore aggiunto di Palermo, Ingroia, quando le agenzie hanno anticipato la nostra inchiesta. E a sostegno delle veridicità delle nostre ricostruzioni non posso che ancorarmi ad un altro paio di affermazioni. Una del procuratore Messineo, che contraddice se stesso e offende l'intelligenza di chi lo ascolta, quando prima dice che “valuterà se aprire una inchiesta sulla fuga di notizie”, ma poi aggiunge che la ricostruzione delle telefonate operata da Panorama non corrisponde al contenuto delle telefonate medesime. Quindi ci si chiede: come fa Messineo a parlare di evidenza di violazione del segreto se, per sua stessa dichiarazione, quanto noi riportiamo non risponde al vero? E poi la dichiarazione dell'interlocutore di Napolitano, l'ex ministro Mancino: “Non sono io a dover dire se corrispondono al vero o no. Gli atti dovrebbero stare secretati”».

Dopo l'uscita di Panorama qualcuno sembra impegnato nel gioco delle tre carte...
«È la strategia dei vigliacchetti che adesso battono in ritirata e provano a ribaltare la verità perché non hanno la decenza di ammettere le loro tesi. Hanno aperto loro questa strana manovra e sono andati avanti per mesi. Ancora il Fatto, mentendo e ben sapendo di mentire, continua a cercare di buttare la colpa su Panorama.

Si vadano a rileggere il loro giornale e quanto hanno scritto il 21 giugno, a proposito delle due telefonate tra Napolitano e Mancino».

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