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I PROF CI TASSANO E POI FRODANO IL FISCO

Il sottosegretario alla Giustizia Andrea Zoppini accusato di aver aiutato alcuni imprenditori a realizzare una frode fiscale. È il terzo scivolone dell'esecutivo

Un membro del «governo delle tasse» accusato di frode fiscale è come un cieco messo a fare il vigile o un astemio in casa Antinori. Non ci si crede. Non c’azzecca nulla, direbbe Antonio Di Pietro. Peggio: ti rovina l’immagine, demolisce in un attimo quello che hai costruito. Ecco, nel tecnoesecutivo dei professori, tra i ministri che hanno innalzato la pressione fiscale a livelli borbonici, non c’era soltanto un sottosegretario (Carlo Malinconico, presidenza del Consiglio) ospitato in vacanze di lusso da un imprenditore indagato per tangenti che sghignazzava nella notte del terremoto in Abruzzo. O un secondo sottosegretario (Roberto Cecchi, Beni culturali) che per la Corte dei conti dovrebbe restituire 600mila euro all’erario per il discusso acquisto di un crocifisso attribuito a Michelangelo.

C’era anche un terzo sottosegretario (alla Giustizia) sotto indagine per il sospetto di aver truffato l’erario. Il quale ieri ha ricevuto un avviso di garanzia e un invito a comparire, e dopo un breve giro di telefonate ha dovuto dare le dimissioni. Il suo nome, sconosciuto ai più fino a ieri sera, è Andrea Zoppini, romano, 47 anni, docente di Diritto privato all’università di Roma Tre, studi a Cambridge, Heidelberg, Yale e New York, avvocato cassazionista, collaboratore del Sole24Ore. Il ministro Paola Severino gli aveva attribuito deleghe quali «l’assegnazione di reperti confiscati di interesse storico-archeologico-scientifico» o il «conferimento onorificenze al Corpo di polizia penitenziaria».

Secondo la procura di Verbania, il professor Zoppini attraverso le sue attività di consulenza avrebbe aiutato alcuni imprenditori del Piemonte orientale a realizzare una frode fiscale internazionale e avrebbe ottenuto compensi in nero versati su conti esteri. L’iscrizione nel registro degli indagati sarebbe stata presa dopo l’esame di documenti «extracontabili» della ditta Giacomini (produttrice di rubinetterie e impianti di raffreddamento) acquisiti dalla Guardia di finanza durante un’ispezione fiscale. «Ho piena fiducia nell’operato della magistratura e ritengo di poter chiarire ogni aspetto che mi riguarda – ha detto Zoppini – ma la situazione che si è creata è incompatibile con la funzione di sottosegretario».

Malinconico, Cecchi, Zoppini. Tre scivoloni gravi per il governo dei risanatori d’Italia. Tre sottosegretari (due dimissionari) con imbarazzanti scheletri negli armadi. E si potrebbe aggiungere la polemica sul ministro della Funzione pubblica, Filippo Patroni Griffi, proprietario di una casa vicina al Colosseo acquistata dall’Inps a un quarto del suo valore effettivo di mercato. Ma quest’ultimo è il caso più clamoroso: nel governo che tartassa gli italiani e si gioca tutta la sua autorevolezza nella lotta agli evasori fiscali, con i contribuenti drammaticamente spremuti dalle agenzie di riscossione, sedeva un professore accusato di aver frodato il fisco, di aver intascato soldi in nero e su conti esteri.

Zoppini è il meno noto al grande pubblico, ma non alla nomenklatura romana. I maligni mormorano che il suo asso nella manica sia lo stretto rapporto professionale e di amicizia con il professor Giulio Napolitano, secondogenito del capo dello Stato, anch’egli docente di Diritto a Roma Tre (il cui rettore, Giulio Fabiani, è parente della signora Clio). I due hanno anche scritto assieme un apprezzato saggio giuridico, Le Autorità al tempo della crisi (Il Mulino, introduzione di Enrico Letta). Zoppini è stato anche consulente della lista Prodi e della Banca d’Italia, consigliere giuridico della presidenza del Consiglio scelto dal sottosegretario Enrico Letta e confermato nell’incarico dal governo Berlusconi.

Ma, come ha scritto in febbraio il settimanale Panorama, Zoppini era già inciampato tre volte da quando è approdato in via Arenula. A metà gennaio aveva presentato – e ritirato precipitosamente – un emendamento in materia di deliberazioni societarie che si sarebbe applicato soltanto al caso dell’impresa Salini, un gigante delle costruzioni dilaniato da una contesa sulla proprietà che avrebbe beneficiato uno dei due rami della famiglia. Successivamente si è saputo che il professore era impegnato come arbitro in una lite tra Ferrovie e Fiat sui lavori per i binari ad alta velocità tra Novara e Milano. Ai membri del governo è vietato ricoprire incarichi o funzioni in enti pubblici come le Fs. Alle accuse di conflitto d’interessi Zoppini replicò con un telegrafico «Valuterà l’Antitrust». Secondo Panorama gli arbitrati del docente sarebbero una decina, per un valore di alcuni milioni.

Infine, nel pieno della bagarre sul caso Lusi (il parlamentare accusato di essersi appropriato dei soldi della Margherita di cui era tesoriere), saltò fuori che proprio in virtù di un parere «pro veritate» di Zoppini l’allora presidente del partito, Enzo Bianco, convocò soltanto 12 dei 398 membri dell’assemblea federale per discutere del bilancio del partito.

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