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I timori del Cav: quel gruppo di saggi non ci rappresenta

RomaBerlusconi benedice il Colle a metà. All'ora di pranzo ascolta in diretta Napolitano. Poi si consulta coi fedelissimi. In privato concorda: «Bersani è stato sconfitto. La sua linea è morta è sepolta». Seconda considerazione: «Ora è chiaro a tutti che senza di me il governo non si fa». Seppure il capo dello Stato non abbia esplicitamente parlato di governo delle larghe intese, il senso è quello. Con questi numeri il Pd non può agire come se avesse vinto. E ancora: «Questa è la vittoria della responsabilità contro i tentativi andati a vuoto di un governo di minoranza o di un esecutivo fatto inseguendo Grillo». Bene così. Ma questa è la valutazione sul bicchiere mezzo pieno.
C'è però anche il bicchiere mezzo vuoto, ossia quel riferimento al pool di saggi che non convince a pieno il Cavaliere. Primo: il metodo. Berlusconi lamenta di non essere stato sufficientemente interpellato sulla questione dei saggi. Inoltre, il suo timore è che nemmeno loro riescano a trovare la quadra sui punti in discussione. Vero è che le personalità messe in campo dalle maggiori forze responsabili tratteranno soltanto poche questioni su cui è più facile l'accordo: legge elettorale, sblocco dei crediti alle imprese da parte della Pa, allentamento del patto di stabilità per gli enti locali, strategia per alleggerire la morsa dell'austerity dettata dall'Europa, rimodulazione dell'Imu, misure per migliorare il mercato del lavoro. Ovviamente sarebbero escluse le questioni spinose legate alla giustizia che tanto facevano gola a Bersani e i giovani turchi: conflitto d'interesse, incandidabilità e ineleggibilità. Tuttavia, sui saggi, Berlusconi è scettico: «Vanno bene se sono la strada per un governo di larghe intese e che duri nel tempo». Ma anche sui nomi non mancano le doglianze. «Il Pdl non è rappresentato a sufficienza», è il senso del suo malumore.
Queste le valutazioni che il Cavaliere fa con i suoi più stretti collaboratori nel pomeriggio. Motivo per cui redige una nota soltanto alle 17: tre ore e mezza dopo che Napolitano ha finito di parlare. La nota è una benedizione a Napolitano con riserva: «Come ulteriore atto di disponibilità e di responsabilità verso il Paese - si legge - esprimiamo apprezzamento per la verifica programmatica auspicata dal capo dello Stato, e speriamo che questo metodo dia buoni frutti, superando i veti e l'atteggiamento negativo del Pd. Il Paese è già stato trascinato per un mese dal Pd in una inutile perdita di tempo. Ora sarebbe rischioso protrarre lo stallo oltre ogni ragionevolezza, peraltro alla vigilia di una delicatissima riapertura dei mercati». Ma poi si mette in chiaro la soluzione ideale: «Per noi, resta valido quanto abbiamo costantemente sostenuto. Delle due l'una: o governo politico di grande coalizione o subito al voto. La prima ipotesi (quella da noi auspicata) è un accordo pieno, politico e di legislatura tra le forze maggiori, che abbia al centro il rilancio dell'economia e la necessità di dare respiro fiscale alle famiglie e alle imprese: e se l'esplorazione avviata oggi porta verso questo esito, bene. Altrimenti la strada maestra è quella di tornare subito alle urne».
Già, le urne. Berlusconi ha sul tavolo i sondaggi della Ghisleri che lo tentano: «Se andiamo alle elezioni vinciamo noi. Sia alla Camera sia al Senato». E nella nota lo si dice chiaro: quanto all'ipotesi del voto, «noi siamo pronti».

Chiaramente senza fare i conti con Renzi.

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