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Imu, Fassino ricatta il governo ma difende i sindaci spreconi

Imu, Fassino ricatta il governo ma difende i sindaci spreconi

TorinoMettiamola così: quando sono in ballo gli stipendi pubblici, non c'è santo che tenga. A lanciare l'allarme questa volta è il pluridecorato Piero Fassino, che oltre ad avere la fascia tricolore sul petto, è anche il presidentissimo dei sindaci, al vertice dell'Anci da dove ha fatto partire un siluro verso Palazzo Chigi, o meglio un diktat, della serie o il governo sgancia 2,4 miliardi entro 48 ore oppure i Comuni non potranno pagare gli stipendi dei colletti bianchi.
Dal ministero ancora non si sbilanciano, ma tutti sono in attesa di chiarimenti in merito, che si smuova qualcosa per soddisfare l'amena richiesta. L'allarme questa volta è serio, tanto che perfino i campanili più virtuosi pare debbano fare i conti con la voragine dei rimborsi. «Allo stato attuale dei fatti - ha spiegato nel dettaglio Fassino davanti alle commissioni Bilancio e Finanze della Camera - la prima rata promessa in questi giorni non è ancora stata trasferita ai Comuni» e «senza questi trasferimenti al 30 settembre molti Comuni non saranno in grado di pagare gli stipendi ai dipendenti». Fassino ha spiegato anche che bisogna fare in fretta perché «non facciamo le buste paga con il lapis il 29 settembre, ci sono procedure che richiedono tempi precisi» e se la prima rata non arriva «entro domenica, visto che lunedì è già il 22 settembre, c'è il rischio che il 30 settembre non siano in grado di pagare gli stipendi».
Insomma, non sono tanto i Comuni a rischiare il knockout, ma chi ci lavora. E poco importa se per raccomandazione o con «cooptazione privata in atto pubblico», ovvero alla maniera del vangelo secondo «piddino». Il rischio è di non vedere un centesimo mentre già ieri dopo l'allarme negli uffici comunali d'Italia si sgranava il rosario per allontanare la nefasta previsione. Eppure, per fare economia in tempi di crisi, non servirebbero interventi eclatanti ma basterebbe partire dal proprio cortile. Pensate: finirebbe spiaggiato come una balena a Portofino pure l'addetto stampa di Fassino, o meglio il portavoce, ingaggiato con uno degli stipendi più generosi che si ricordi, 15mila euro lordi al mese, l'equivalente della retribuzione di un consigliere regionale al quale però tocca almeno l'incombenza di farsi eleggere. Qui invece altro che elezioni: è bastato lo schiocco delle dita, sufficiente a far scattare la munifica retribuzione in men che non si dica, ma con polemiche a non finire per «l'entità della consulenza», giudicata «inopportuna». Del resto si sa: le macchine comunali macinano determine, delibere, atti, allegati, e parcelle. Spesso marchette, e quel che è peggio milionarie. Ecco dove si può cominciare a tagliare. Ora solo incidentalmente tocca a Fassino, sul finire di una gloriosa carriera da gerarca di partito, prendere le parti dei Comuni. Quello che lui governa non è il massimo a proposito di morigeratezza. Appena eletto ha dovuto alzare bandiera bianca: patto di stabilità sfondato, con conseguente multa da 30 milioni per eccesso di spesa. Per non parlare dell'eredità: Comune più indebitato d'Italia, e una lista lunga 27 chilometri di consulenti e amici di amici, spesso senza requisiti per ricevere gli incarichi.
Il sigillo non l'ha messo l'opposizione, ma a vario titolo la Procura della Repubblica, la Corte dei Conti, il Tar, e il Consiglio di Stato: cattiva gestione «con ricorso illegittimo» di consulenze e stipendi d'oro del management nell'azienda trasporti; licenziamento della dirigente apicale del settore comunicazione «per aver affidato appalti all'azienda del figlio»; bancarotta fraudolenta per alcuni amministratori della società di formazione per la quale la Procura ha iscritto 17 persone nel registro degli indagati con l'accusa di aver lasciato un buco di 22 milioni di euro; canoni mai riscossi di occupazione di suolo pubblico per quasi un milione di euro; parcella da 40mila euro per un super avvocato romano ingaggiato per difendere il direttore generale finito nei pasticci per un concorso truccato.

Insomma: caro governo, caro presidente Letta, dacci la mancia che ai confini dell'impero si muore di fame.

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