Politica

Incivile un’imposizione patrimoniale senza prima tagliare gli sprechi

Incivile un’imposizione patrimoniale senza prima tagliare gli sprechi

di Senza volerlo, i collaboratori dell’ex ministro Visco che dal ministero dell’Economia guidano la politica fiscale, hanno fatto centro: alle entrate tributarie stimate mancano 3,4 miliardi. Al proposito, e pur nella provvisorietà del dato, si possono fare almeno tre considerazioni (positive o, meglio, «non politicamente corrette»).
La prima l’ha già fatta Nicola Porro su queste stesse colonne. Di troppe tasse si muore: «A soccombere sono prima i consumatori e le imprese e poi inevitabilmente e a ruota le casse dello Stato».
La seconda. Solo il taglio delle tasse elimina gli sprechi. La via tradizionale è quella di individuare sacche di spreco e di intervenire. Ma (già un’altra volta l’ho sottolineato su queste stesse colonne) è una via impervia, come anche questi pochi mesi di vita del governo Monti hanno dimostrato. Si rivoltano, da noi, persino Comuni con qualche decina di abitanti, altrettanto per certe Camere di commercio, per non parlare dei Consorzi di bonifica (sacche - spesse volte - di politici attempati, che nessuno vuol toccare). La tradizionale via di lotta allo spreco, va abbandonata. La via maestra è quella di tagliare le tasse, di «affamare la bestia» (della spesa pubblica), come si dice negli Stati Uniti. Se si tolgono risorse ai burocrati e ai politici (in modo limitato, ma irriducibilmente progressivo negli anni) saranno loro - per forza di cose - ad individuare gli sprechi e a cominciare da quelli i tagli. Non si alzeranno più le barriere contro l’«utilità» di uno spreco o dell’altro. E così, forse, riusciremo ad avere qualche (inutile) rotonda in meno e ad evitare che il Comune di Roma sperperi - di questi tempi - 3,481 milioni di euro per fare della piazza di San Silvestro (ciò che invece ha fatto) «una landa desolata», come ha scritto un lettore ad un quotidiano della capitale.
Terza ed ultima considerazione. Non giova all’intrapresa (e, quindi, all’unica vera fonte di nuove entrate; la lotta all’evasione è un diversivo tipo untori) continuare ad ipotizzare nuove tasse, tanto più sul patrimonio. Il discorso, qua, deve essere chiaro, essendosi acriticamente diffusa ad ogni livello (fu anche la filosofia della prima manovra Monti, con i risultati visti quanto alla ripresa) l’«ideona» che le tasse vanno spostate dai redditi alle cose, cioè ai patrimoni. L’«ideona» (per quanto ammantata di scientificità) trascura due importanti particolari, specie sul piano psicologico: 1) che i beni - come gli immobili - incisi da una tassazione patrimoniale si risolvono in una doppia o tripla tassazione, avendo già scontato un’imposizione (e, a volte, più imposte); 2) che le patrimoniali si pagano coi redditi, e che tassare anche i patrimoni che non danno reddito (come tanti ce ne sono) o che addirittura producono solo spese di mantenimento, è una vera e propria barbarie. Che può essere giustificata in un modo solo: se l’«ideona» ha dietro di sé un surrettizio disegno di redistribuzione dei patrimoni, portato avanti da un governo che si ispira (come ha scritto Piero Ostellino sul Foglio il 26 aprile) «ad un regime totalitario di socialismo reale».


Ma con la prospettiva di una doppia (o tripla) tassazione e di una tassazione che prescinda dal reddito che il bene produce (cosa che in Germania la Corte costituzionale civilmente impedisce, dopo due storiche decisioni, già dal ’95). Con la prospettiva, ancora, di una surrettizia espropriazione dei patrimoni in cui investire (o si sono investiti) mezzi sacrosantamente guadagnati o conservati: con queste prospettive, e l’incupimento che esse provocano, si può forse sperare nella crescita, e quindi nella sola fonte davvero generatrice di nuove entrate?
*Presidente Confedilizia

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