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Attenti, dagli insulti al piombo il passo è breve

Carfagna e Franceschini offesi, bastonate al candidato di CasaPound: c'è il rischio di un "salto di qualità" come negli anni '70

Attenti, dagli insulti al piombo il passo è breve

L'antesignano del piccone fu Francesco Cossiga, signore e padrone del Quirinale. Per quattro anni e oltre, nelle vesti di presidente della Repubblica, rimase pressoché muto. Di sicuro il capo dello Stato più taciturno della storia. Poi, all'improvviso, si svegliò a causa del terremoto politico provocato da Tangentopoli e cominciò a parlare, anche a straparlare, e non si fermò più. I comunisti dell'epoca, nel tentativo di chiudergli il becco (fino), provarono invano a metterlo sotto accusa con vari pretesti, tutti risibili. L'appellativo di picconatore non glielo tolse più nessuno, sino a portarselo nella tomba. Ma era un picconatore intelligente, educato, talvolta pungente, mai violento. Le lingue taglienti non sono minacciose.

Cossiga forse non immaginava che avrebbe avuto tanti epigoni vent'anni dopo le sue memorabili esternazioni; imitatori volgari e addirittura assassini. Ieri si sono svolti i funerali di tre vittime del piccone (non metaforico) maneggiato da Mada Kabobo. Una storia agghiacciante sulla quale sorvoliamo. Abbiamo già dato, forse inorridendo i lettori. Oggi intendiamo dedicarci a casi meno raccapriccianti, ma significativi di un costume che si sta purtroppo consolidando nel nostro sconcertato e sconcertante Paese. Atteniamoci al metodo cronologico.

Alcune settimane orsono una notizia irrompe sulle pagine dei giornali: il neoministro Dario Franceschini, già segretario (estrazione cattolica) del Partito democratico, viene apostrofato da un gruppo di cafoni mentre è seduto a tavola con amici in un ristorante. Un'aggressione verbale di cui vi risparmiamo i dettagli: insulti, scurrilità. Il parlamentare cerca di difendersi con l'arte della parola. Con scarso successo. Placare gli animi di certi screanzati, e probabilmente inclini a menare le mani, non è impresa alla portata di un mite politico, che per indurire i lineamenti si è fatto crescere la barba.

L'episodio è un segnale a cui però in pochi badano. Se una rondine non fa primavera, figuriamoci se un plotoncino di fessi annuncia l'arrivo di un esercito. E invece i picconatori crescono subito di numero. Anche l'ex presidente della Regione Lazio, Renata Polverini (Pdl), attualmente vicepresidente della commissione Lavoro alla Camera, è insolentita da tre gaglioffi (poi denunciati) dell'Angelo mai occupato, un centro sociale di Roma. La medesima gazzarra che aveva imbarazzato Franceschini. Ingiurie e roba del genere.
Che senso hanno questi raid villani? Preparare il terreno per un salto di qualità, come si diceva una volta? Dall'invettiva all'assalto il tragitto in effetti è breve. Ne sappiamo qualcosa noi anzianotti testimoni di una escalation spaventosa. I bulli del Sessantotto iniziarono a far casino con spirito goliardico, ma nel Settantotto qualcuno fece sul serio: per capirci, le Brigate rosse sequestrarono Aldo Moro e lo uccisero non senza aver sterminato la sua scorta.

Non abbiamo la vocazione dei menagramo e lungi da noi l'intenzione di comparare quei tempi con i presenti. Occhio, però. Vediamo di non lasciarci sfuggire il controllo della situazione. Il rischio c'è. Infatti, i buzzurri si sono rifatti vivi. Ancora a Roma. E stavolta se la sono presa con Mara Carfagna, ex ministro delle Pari opportunità e viocecapogruppo del Pdl nella corrente legislatura. La quale, impegnata a fare acquisti in un supermercato, è stata avvicinata da un paio di burini che hanno sfogato su di lei, con espressioni da trivio, un rancore ingiustificabile. Impietrita, Mara non ha reagito. Ma quando si è ripresa, ha riferito dell'accaduto a un carabiniere. È scattata la ricerca dei due tangheri i quali tuttavia, coraggiosamente, se l'erano data a gambe.

Lascio commentare ai lettori questi fatti. Aggiungo soltanto che i picconatori hanno talmente preso piede da avere rinunciato alle picconate verbali, preferendo quelle materiali, ovvero sferrate con il piccone inteso come attrezzo da lavoro. Essi hanno dimostrato venerdì che il passaggio dalla metafora alla cruda realtà può essere rapido. Ci è andato di mezzo il candidato sindaco della capitale, Simone Di Stefano, lista Casa Pound. L'automobile su cui egli si trovava è stata circondata da giovanotti di estrema sinistra e semidistrutta appunto a picconate. Al candidato è andata benino: solo contusioni medicate all'ospedale. Ma il punto non è sanitario: se si va avanti così dove andremo a finire? Cosa dobbiamo aspettarci?

Il bello, si fa per dire, è che la presidente della Camera, Laura Boldrini, assai lesta nel mobilitare le forze dell'ordine affinché perseguissero gli sfrontati che avevano osato sfotterla su Internet, non ha aperto bocca né mosso un dito per difendere Dario Franceschini (ma, essendo un maschio, forse non era meritevole di solidarietà) e neppure Renata Polverini e Mara Carfagna, nonostante sia stato accertato che sono donne. Non accenniamo neppure a Simone Di Stefano, immaginando che alla signora di Montecitorio non interessi l'incolumità di un uomo che ha l'aggravante d'essere per giunta fascista.

I progressisti sono moralmente e culturalmente di un'altra categoria e non si occupano di sottospecie umane.

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