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Incubo Ilva: si fermano tutte le fabbriche

Il gip tiene sotto sequestro i prodotti degli ultimi 4 mesi. Rischiano il posto 4000 operai, 1400 subito a casa

Veduta esterna dello stabilimento siderurgico Ilva di Taranto
Veduta esterna dello stabilimento siderurgico Ilva di Taranto

Ilva, lo scontro toghe-azienda si risolve in uno schiaffo al governo. Il gip di Taranto dice no al dissequestro della produzione di acciaio bloccato sulle banchine del porto industriale dal 26 novembre, chiesto dal Gruppo Riva come naturale conseguenza dell'apposito decreto del governo Monti e gli industriali rispondono annunciando la chiusura di tutti gli stabilimenti e centri di servizio con chiare ricadute negative sul piano occupazionale, lasciando a casa oltre 4mila operai. Lo stop riguarderà anche le fabbriche del Gruppo in Francia, la Tunisacier di Tunisi e la Hellenic steel di Salonicco in Grecia. In serata il governo reagisce con una nota: «Il Consiglio dei ministri ha deciso che il governo presenterà domani mattina (oggi, ndr) un emendamento interpretativo al decreto salva-Taranto». L'azienda potrà commercializzare quanto prodotto prima del decreto.

Il no del gip sa di sfida frontale alla procura pugliese: «Ilva comunica le drammatiche conseguenze che tale decisione comporta per i livelli occupazionali e per la situazione economica dell'azienda. Da ora e a cascata per le prossime settimane circa 1.400 dipendenti, appartenenti prevalentemente alle aree della laminazione a freddo, tubifici e servizi correlati, rimarranno senza lavoro. Il numero di questi lavoratori si andrà a sommare ai 1.200 dipendenti già in cassa integrazione per la situazione di mercato e per le conseguenze del tornado che ha investito lo stabilimento di Taranto lo scorso 28 novembre». I legali del polo siderurgico hanno immediatamente annunciato ricorso al Riesame contro il rigetto del giudice per le indagini preliminari, «confidando che la situazione possa essere sbloccata al più presto per evitare, oltre al danno derivante dalla mancata consegna di prodotti già ordinati e non più rimpiazzabili, anche il danno relativo allo smaltimento di prodotti che sono deteriorabili». Oggetto del contendere è l'intera produzione realizzata tra i provvedimenti giudiziari di luglio e novembre, che Ilva quantifica in 1,7 milioni di tonnellate pari a un miliardo di euro di controvalore. Un danno «drammatico», secondo l'azienda. Ma il gip nel suo provvedimento negativo ricorda che il decreto del governo sulla cui base era stato chiesto il dissequestro non è retroattivo. Per il giudice è proprio il provvedimento all'articolo 3 a imporre «di escludere radicalmente che si sia voluto attribuire efficacia retroattiva alla disposizione». Viene da chiedersi, allora, a quale scopo l'esecutivo sia corso ad approvare il contestatissimo decreto.

Intanto, a sorpresa, nonostante le evidenze documentali relative al prelievo di 10mila euro effettuato dal responsabile delle relazioni esterne dell'Ilva, Giacomo Archinà, per il consueto obolo pasquale al Vescovo, il Riesame ha rigettato la richiesta di scarcerazione convinto che quei soldi servivano in realtà a corrompere il perito della procura, Lorenzo Liberti.

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