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«In Italia c'è ancora spazio per chi crede nel merito»

Gianluca Grondona è direttore delle risorse umane di «Indesit Company» tra i leader in Europa nella produzione e commercializzazione di grandi elettrodomestici: con 16.000 dipendenti e fabbriche ai quattro angoli del mondo, scruta il globo con l'occhio pratico del cacciatore di talenti.
Secondo lei il problema della mortificazione dei giovani talenti esiste?
«Il mercato del lavoro non è tutto rose e fiori, eppure io sono convinto che il nostro Paese sia ricco di opportunità. Sta ai singoli coglierle».
In Italia però il panorama non è roseo...
«Il nostro gruppo opera in venticinque Paesi. Per questo mi sento di poter dire che non esiste uno specifico problema Italia: tutti i Paesi hanno le loro grane a livello di sistema. Quel che conta sono gli individui, le loro conoscenze e capacità, il loro approccio al mercato del lavoro».
Eppure è innegabile che ci siano problemi per i neolaureati...
«Qua si avverte più competitività sia perché il numero degli studenti è aumentato rispetto al passato, sia per l'oggettiva riduzione delle offerte di lavoro. Proprio per questo è importante quello che si è, e quello che si porta nel proprio bagaglio tecnico e culturale».
Che tipo di qualità premia il mercato del lavoro oggi?
«In Italia va avanti soprattutto chi si mostra flessibile, chi crede nel merito, chi programma nel lungo periodo. E poi bisogna essere al passo con la tecnologia».
In concreto?
«Flessibilità, ad esempio, vuol dire cambiare mestiere o mansione pure più volte nel corso di un anno, con la disponibilità, se necessario, a lavorare all'estero: è questo l'atteggiamento che fa la differenza».
E le aziende che ricetta devono applicare per valorizzare i giovani?
«Prima di tutto devono lavorare con le università e le scuole di formazione. Noi ad esempio stiamo lavorando con l'istituto “Adriano Olivetti” per creare una rete che eviti la dispersione di talenti. Con il Politecnico delle Marche, poi abbiamo avviato una collaborazione che prevede l'attivazione di stage sin dal secondo anno, per avvicinare da subito i giovani alle imprese»
E poi?
«Occorre investire attenzione e risorse sul concetto di alternanza tra scuola e lavoro.

Oggi i giovani iniziano a pensare alla professione solo durante gli studi universitari. Servirebbe invece anticipare questa riflessione già durante gli studi medi superiori, per far sì che i nostri ragazzi possano impostare adeguatamente e per tempo il proprio percorso formativo, compiendo poi scelte consapevoli e responsabili»

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