Cronache

Karol santo quasi subito. Per Papa Francesco è campione di coerenza

Così Bergoglio ricordò Wojtyla appena scomparso: "Un testimone che ha messo in gioco tutto se stesso"

Con il rabbino di Roma Elio Toaff nel 1986
Con il rabbino di Roma Elio Toaff nel 1986

«Karol Wojtyla: futuro santo». Giovanni Paolo II, che domani verrà canonizzato insieme con Giovanni XXIII in Piazza San Pietro, era ancora giovane seminarista a Cracovia quando qualche compagno scrisse quella frase sulla porta della sua stanza. A raccontare il significativo aneddoto è stato Andrej Deskur, suo compagno dell'epoca e futuro cardinale, in un'intervista a L'Osservatore Romano di qualche anno fa: «Durante gli studi abitavamo insieme, quindi ci conoscevamo bene. Mi ricordo che tutti volevano uscire con lui durante le nostre passeggiate settimanali perché si tornava arricchiti». Riletta oggi, altrettanto profetica risulta la predilezione che, da attore e appassionato drammaturgo, Karol aveva per le composizioni di Slowacki. In particolare, rivela Andrea Tornielli nel fondamentale L'ultimo miracolo, aveva imparato a memoria una poesia che s'intitolava «Il Papa slavo»: «In mezzo ai discordi, Dio suona un'enorme campana. S'apre il Soglio al Papa slavo. Ecco uno che non si ritrarrà come quell'italiano. Come Dio, coraggiosamente affronterà la spada, per lui, polvere è il mondo... Ecco, s'avanza il Papa slavo, fratello del popolo».

Se Dio ha bisogno degli uomini per fare la storia, mettendo in fila i segni che hanno accompagnato la vita di Karol Josef Wojtyla, nato a Wadowice il 20 maggio 1920, figlio di Karol, ufficiale dell'esercito asburgico, e di Emilia Kaczorowska, si è certi di essere di fronte a un predestinato, protagonista di mutamenti irreversibili per la Chiesa e l'umanità. «Ricordiamo un uomo coerente -disse l'allora arcivescovo di Buenos Aires, il 4 aprile 2005, due giorni dopo la sua morte- che una volta ci ha detto che questo secolo non ha bisogno di maestri, ma di testimoni, e il coerente è un testimone. Un uomo che mette in gioco tutto se stesso, e con tutto se stesso e con l'intera sua vita, con la sua trasparenza, avalla ciò che predica». Un ritratto sufficiente, quello di Bergoglio, a fugare le perplessità in tema di «virtù della perseveranza» nella difficoltà che il cardinal Martini manifestò al momento della deposizione come teste del processo della canonizzazione (Andrea Riccardi, «La santità di Papa Wojtyla»): «Non saprei dire se abbia perseverato in questo compito anche più del dovuto, tenuto conto della salute. Personalmente riterrei che aveva motivi per ritirarsi un po' prima».

Sofferente, distrutto dal morbo di Parkinson, gli ultimi anni del Papa polacco sono stati una testimonianza ancor più commovente della sua totale consegna a Dio. Il campione della fede, l'aitante missionario globale che sembrava brandire il pastorale d'argento davanti ai militanti sandinisti infiltrati nella spianata di Managua (1983), il gigante mediatico, il grande mistico, lo stratega geo-religioso che contribuì in modo decisivo al crollo dei regimi comunisti innescato dai movimenti sindacali della sua Polonia, viveva ora fin nella pena del corpo l'imitazione di Cristo.

La sera del 16 ottobre 1978, il cinquantottenne Karol Wojtyla si affaccia alla loggia della Basilica di San Pietro quasi scusandosi: «Gli eminentissimi cardinali lo hanno chiamato da un Paese lontano... Ma se sbaglio, mi corrigerete». Il mondo era ancora immerso nelle nebbie dell'ideologia, nelle divisioni in blocchi, separato da muri di ostilità. Ma pochi giorni dopo, nell'omelia della messa d'inaugurazione del pontificato, Wojtyla esorta: «Non abbiate paura! Aprite, anzi, spalancate le porte a Cristo! Alla sua salvatrice potestà aprite i confini degli stati, i sistemi economici come quelli politici, i vasti campi di cultura, di civiltà, di sviluppo. Non abbiate paura! Cristo sa cosa è dentro l'uomo. Solo lui lo sa!».

Il cristianesimo ha pieno diritto d'incidenza nella vita pubblica della persona e dell'umanità. Lo stesso concetto è esplicitato anche nella «Redemptor hominis» che pubblica il 4 marzo 1979, a meno di cinque mesi dalla sua elezione: «Il redentore dell'uomo, Gesù Cristo, è centro del cosmo e della storia».

Due anni più tardi, il 13 maggio 1981, durante un'udienza del mercoledì in Piazza San Pietro subisce l'attentato per mano di Alì Agca. Allo scrittore francese André Frossard che lo intervisterà, confiderà che quel giorno «era l'anniversario della prima apparizione di Fatima. Una mano ha sparato, ma un'altra ha guidato il proiettile». Nove anni dopo l'attentato, sulla spianata del santuario di Cova Iria, mentre Giovanni Paolo II è assorto, il cardinale Angelo Sodano rivela che il «vescovo vestito di bianco» di cui si parla nel terzo segreto di Fatima che «cade a terra come morto sotto i colpi di arma da fuoco» è il Papa.

Domani, a soli nove anni dalla morte, Giovanni Paolo II verrà proclamato santo in forza dell'intercessione per la guarigione «improvvisa e inspiegabile» di Floribeth Mora Diaz, colpita da aneurisma cerebrale. È il primo maggio 2011, giorno della beatificazione di Wojtyla. In camera da letto, Floribeth ha appesa una rivista con la copertina del Papa polacco che aveva visto da vicino durante il suo viaggio in Costa Rica (1983). Prima di addormentarsi, mentre in tv vede Benedetto XVI che regge la reliquia del suo predecessore, si rivolge in preghiera a quell'immagine..

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