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«Ma l’essere sopravvissuto tormenterà chi ce l’ha fatta»

«Ma l’essere sopravvissuto tormenterà chi ce l’ha fatta»

Professoressa Maria Rita Parsi, lei è una delle psicologhe italiane più sensibili al mondo infantile: cosa ha pensato quando ha saputo dei ventidue bambini morti nell'incidente?
«Che si è trattato di una strage degli innocenti. La seconda in pochi giorni dopo quella avvenuta in Afghanistan. Non sarà facile da superare anche per noi che siamo stati soltanto spettatori di questa tragedia ma che in quei bambini vediamo i nostri figli, i nostri nipoti. Vediamo dei bimbi sottratti alla vita nel momento gioioso dell'infanzia».
Sul luogo dell'incidente sono arrivati gli psicologi per aiutare le famiglie delle vittime. Ma come si supera, se mai si riesce, un dolore così immenso?
«Come si dice sempre in questi casi le famiglie e chi ha voluto bene a questi bambini dovranno elaborare il lutto con l'aiuto di bravi psicologi. Lo strazio è infinito, la perdita troppo improvvisa e anche il contesto di queste morti avvenute durante un momento di svago sarà molto difficile da superare. Col tempo l'unico modo per non soccombere sarà quello di trasformare tutto questo dolore in atti d'amore, riversando l'affetto per i figli o i nipoti che non ci sono più verso altri bambini».
Come spiegare ai bambini sopravvissuti perchè i loro ventidue amici non ci sono più?
«É un compito impegnativo. La sindrome del sopravvissuto può tormentare per tutta la vita. Bisogna parlare tanto con loro, farli disegnare, piangere, sfogarsi, e far capire che ognuno di noi ha un destino e che per qualcuno la vita va via prima, troppo prima. Chi ha fede può spiegare che i bimbi sono angeli e che qualcuno per volere del Signore torna nella sua luce».
Si dice che il dolore condiviso sia un pochino più lieve da superare: lei che pensa?
«Che è vero: la solidarietà, l'esperienza dolorosa comune aiuta a sentirsi meno soli davanti alla morte. E anche per questo nel futuro i genitori e tutte le persone che hanno voluto bene a questi bimbi dovranno avere un progetto comune, per esempio creare una fondazione a cui dedicare tutte le loro energie.

Soltanto così, con la solidarietà verso gli altri, potranno provare a guardare avanti».

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