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L’Italia che non si arrende: ora un calcio a crisi e Germania

In campo come nella vita, trasformiamo lo scetticismo in entusiasmo. E la sfida ai tedeschi e alla Merkel adesso non ci fa più così paura...

L’Italia che non si arrende: ora un calcio a crisi e Germania

Ancora una volta: il calcio e noi, la nazionale e noi, l’azzurro e noi. Loro e noi, cioè tutti. Comincia sempre da una formazione. Buffon, Abate, Barzagli, Bonucci, Balzaretti, De Rossi, Marchisio, Pirlo, Montolivo, Cassano, Balotelli. Qualcuno esce, qualcun altro entra: fratelli d’Italia. Questa squadra è lo specchio di quello che siamo. Italia in campo e Italia fuori. Giochiamo per dire all’Europa che non ci arrendiamo. È una nazionale figlia del suo tempo: senza saperlo porta in campo le nostre difficoltà e la nostra voglia. Contro l’Inghilterra ha giocato diversamente da come ha sempre fatto in passato. Prima subiva e contrattaccava, ora impone. Testa alta contro gli altri. C’è che il nostro calcio è in discussione come il nostro stile di vita, come la nostra politica, come la nostra economia. Allora cerca strade nuove. Centoventi minuti di assedio nostro, una sofferenza contraria e opposta a quella alla quale siamo abituati.

Non difendiamo un risultato, ma cerchiamo il modo per ottenere quel risultato. Caso, contingenza, casualità: ci adattiamo all’occasione, avendo in testa il fine e pure il mezzo. È quello che accade ogni giorno, in fondo: dobbiamo pagare l’Imu e cerchiamo il modo migliore per farlo in un periodo così. Sappiamo che saremo pagati poco e male, ma ci impegniamo come se fossimo pagati tanto e bene. Ci costruiamo il nostro destino sapendo che c’è qualcosa più forte di noi. È la Germania, anche qui: in campo e fuori. Ci toccano i tedeschi all’Europeo. Sono bravi, forse migliori della Spagna. Li aspettiamo, giovedì. Preoccupati noi e preoccupati anche loro. Li battiamo sempre, anche quando sembra che non ci sia storia.

Quest’Italia ora si porta dietro l’entusiasmo che non c’era all’inizio. C’era scetticismo, apatia, sfiducia: una nazionale che non aveva scaldato i cuori e che adesso invece riempie le piazze. È scattata la luce, quel mix di tifo, orgoglio, patriottismo che cova sempre sotto di noi e fa fatica a venire fuori. Accadde nel 1982, accadde nel 2006, accade ora. Da oggi a giovedì non si parlerà che di Italia-Germania e stavolta non sarà solo pallone: c’è la Merkel, c’e’ la crisi, c’è il vertice di Roma dove si incrociano i destini di tutti e quattro i Paesi che si giocano la fine dell’Europeo di pallone. Germania, Spagna, Italia e Portogallo.

Non è colpa di nessuno, né merito di nessuno se il calcio si mescola a una cosa molto più grande di lui. Siamo messi così. E questa nazionale risponde a questa logica: è la nostra faccia, è il nostro modo di dire «ce la possiamo fare, anche contro questa Germania». Non è detto che sia vero, ma fa bene crederci. È un caso, sì. Però la ripresa dell’orgoglio della politica contro l’idea di essere nelle mani dei tecnici è coincidente con la voglia di Italia pallonara. Volontariamente o meno tutto coincide e tutto torna. Lo specchio, già. Ci guardiamo e ci vediamo come Diamanti che è cresciuto dove l’europeo è un miraggio ed è arrivato a calciare il rigore decisivo di Italia-Inghilterra. Abbiamo bisogno di eroi per caso? Eccoli. C’è sempre tanto di altro. Come questa storia che comandano i centrocampisti: De Rossi, Diamanti, soprattutto Pirlo. Perché se gli attaccanti sono bloccati, si sceglie l’idea, la strategia, la creazione. Se non sfondi con la forza o con il colpo da fenomeno aggiri tutto e provi con un altro schema. Uno-due. Pirlo che s’inventa il cucchiaio su rigore è la sfida che lanciamo noi all’austerity. Se l’avessimo applicata nel calcio saremmo già fuori. Sconfitti da noi stessi, prima che dagli altri.

Se qualcuno ci deve battere deve conquistarsela. Ora e sempre. Loro e noi, cioè i calciatori e il loro pubblico. Abbiamo coraggio, abbiamo grinta, abbiamo qualità. Abbiamo talenti che non si buttano via perché c’è la crisi, perché la Merkel ci vuole sudditi, perché l’Europa ci deve tenere per la giacca. Il calcio è una cosa poco seria, poi può diventare serissima. Non siamo i migliori in quasi nulla, ma siamo bravi in molte cose. Gli inglesi domenica hanno detto: «abbiamo perso contro una squadra fantastica». Grazie, lo sappiamo.

Siamo l’Italia.

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