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Lady Matacena in Italia trattata come Al Capone

Agenti schierati e manette ai polsi per il rientro dalla Francia di Chiara Rizzo. La polizia le concede una breve telefonata ai figli: "Sono contenta di essere qui"

Lady Matacena in Italia trattata come Al Capone

Eccola. Sono le 10,40 quando Lady Matacena arriva alla frontiera di Ponte San Luigi a bordo di una Ford Galaxy bianca della Gendarmeria francese, con i vetri oscurati. È scortata da due auto con uomini armati e preceduta da due agenti in moto.

Sembra il trattamento riservato ad un'ospite eccellente o, peggio, a un criminale incallito. Quando Chiara Rizzo, 43 anni, jeans, maglietta azzurra, una giacca leggera beige e scarpe sportive, i bei capelli biondi sciolti, scende dall'auto, le fanno velo due ali di poliziotti. C'è solo un piccolo particolare che fa la differenza con una star: quelle manette ai polsi con le quali la moglie dell'ex deputato pidiellino, accusata di averne favorito la latitanza con l'aiuto dell'ex ministro Claudio Scajola, viene fatta entrare in gran fretta nell'ufficio della Polizia di frontiera per la notifica degli atti giudiziari relativi alla sua estradizione e per le altre procedure burocratiche.

Ne uscirà circa tre quarti d'ora dopo, con i polsi liberi, e con una bottiglietta d'acqua in mano per infilarsi, questa volta, in un'auto della Dia. Gli agenti della Divisione investigativa antimafia l'hanno accompagnata all'aeroporto «Colombo» di Genova, da dove, alle 16, è decollato l'aereo che l'ha condotta a Reggio Calabria.

Nel passaggio conclusivo di questa sua «avventura» è stata fatta salire a bordo prima di tutti gli altri passeggeri e non ha avuto contatti con altre persone che non fossero agenti. Detto questo alcuni particolari, dal posto di frontiera di Ponte San Luigi, sono filtrati. Appena le sono state tolte le manette, Chiara Rizzo ha chiesto di poter telefonare ai suoi figli, Athos 15 anni e Francesca, 22 che vive a Montecarlo e che si era precipitata già ad Aix-en-Provence per poter starle vicino, all'udienza preliminare davanti ai giudici francesi, appena la madre era atterrata a Nizza, una settimana fa. «Come state ragazzi? Sono contenta di essere in Italia. Ho una gran voglia di stare con voi» ha detto Chiara Rizzo nella breve conversazione da Ponte San Luigi, cui ne è seguita un'altra, altrettanto breve, con i suoi avvocati.

Un abbraccio «telefonico» ai figli, dunque. Appena ha potuto, finalmente, telefonare. D'altra parte l'ha fatto per loro. E non se ne è mai pentita. Perché, in fondo, ne vale sempre la pena, deve aver pensato Chiara Rizzo.

Nonostante tutto e tutti, nonostante lo tsunami che adesso li ha accerchiati. Litigò persino con Amedeo, il marito, che avrebbe voluto a tutti i costi tenerla con sé a Dubai e che la sconsigliò decisamente dal rientrare in Italia. Invece lei, la dama di Montecarlo e prim'ancora di Reggio Calabria e prim'ancora di Messina, ha deciso di consegnarsi agli investigatori, atterrando a Nizza soprattutto e prima di tutto per loro, i suoi due figli, Francesca e Athos. I suoi «gioielli», come lei, novella Cornelia, madre dei Gracchi, aveva dichiarato subito, tramite il suo amico e legale messinese, l'avvocato Bonaventura Candido, confermando anche la volontà di mettersi a disposizione dei magistrati della Procura della Repubblica di Reggio Calabria.

«Non ho fatto nulla - aveva già ripetuto, da Dubai, Chiara Rizzo - e voglio chiarire la mia situazione. Ho il cuore spezzato, anche perché ho la responsabilità dei miei figli, che amo con tutto il cuore. Mi spiace per loro. Tutto questo è ingiusto». Ecco perché Francesca, laureata in Business e management, la figlia avuta dal primo matrimonio con il medico messinese, Franco Currò, che ha vissuto, praticamente sempre con lei, e che le somiglia come una goccia d'acqua, ha voluto essere vicino alla madre, precipitandosi da Montecarlo, in place Verdoun a Palais Monclar, il Palazzo di Giustizia di Aix-en-Provence. Ed ecco perché Chiara Rizzo, nell'unico abbraccio vero che, in quell'occasione, madre e figlia hanno potuto scambiarsi le ha sussurrato in lacrime: «Ti prego, perdonami».

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