Politica

L'autocensura che mina la nostra civiltà il commento 2

di Il colpo di grazia alla nostra civiltà ce lo stiamo impartendo da soli imponendoci l'auto-censura con la messa al bando delle parole e dei simboli che possono urtare la suscettibilità dei protagonisti del mito del globalismo, del multiculturalismo, dell'immigrazionismo e del filo-islamismo. Solo nell'ultimo mese in Francia è stato eliminato nel codice civile il riferimento a «padre» e «madre», sostituendoli con «uno dei genitori», all'indomani della legalizzazione del matrimonio omosessuale comprensivo del diritto dell'adozione; è stato approvato un progetto di legge che modifica l'articolo 1 della Costituzione per eliminare il riferimento alla «razza»; e ieri la presidente della commissione Cultura ed educazione del Senato ha chiesto la modifica del testo della Marsigliese, l'inno nazionale, perché conterrebbe messaggi xenofobi e inciterebbe alla violenza sanguinaria. In Italia lo scardinamento della nostra civiltà viene promosso sia dall'offensiva che mira all'introduzione dello ius soli, il diritto alla cittadinanza automatica allo straniero che nasce in Italia e alla legalizzazione dell'immigrazione clandestina, sia dalla legittimazione dell'islam come religione di pari dignità del cristianesimo e la diffusione delle moschee quali luoghi di culto al pari delle chiese. Queste istanze sono talmente sentite e radicate trasversalmente, innanzitutto a sinistra ma anche al centro e a destra, sia da parte delle istituzioni laiche dello Stato sia da parte della gerarchia della Chiesa cattolica e delle Chiese protestanti, da far apparire non soltanto sterile ma persino immorale qualsiasi opposizione all'orientamento di una maggioranza che appare come incontrastabile e irreversibile. In questo contesto io non mi rassegno affatto e voglio cominciare con il denunciare e il prendere le distanze dalla categoria dei giornalisti, organizzati in seno al Consiglio nazionale dell'Ordine dei giornalisti e dalla Federazione nazionale della stampa italiana (Fnsi), per aver promosso nel 2008 la nascita della «Carta di Roma», su sollecitazione di Laura Boldrini, all'epoca portavoce dell'Alto commissariato delle Nazioni unite per i rifugiati, e per la più recente decisione di promuovere la messa al bando della parola «clandestino». Questa scelta è stata adottata dalle principali agenzie d'informazioni italiane, Ansa e AdnKronos, confortate dal fatto che anche negli Stati Uniti il New York Times e l'Ap (Associated Press) hanno aderito all'abolizione della parola «immigrato illegale». La scelta di Cnog e Fnsi è di natura ideologica e si scontra con la deontologia professionale che dovrebbe imporci di attenerci alla rappresentazione corretta della realtà e a non assumere delle posizioni faziose dal momento che dovrebbero rappresentare l'insieme della categoria dei giornalisti. Se uno entra illegalmente o risiede illegalmente nel territorio nazionale è oggettivamente un clandestino, così come sul piano giuridico commette un reato che è contemplato e sanzionato in qualsiasi Stato del mondo. Perché mai noi italiani dovremmo fare eccezione, negando la realtà dei fatti e limitandoci a presentare il clandestino come «migrante» o ancor più genericamente «persona», così come viene consigliato dalla «Carta di Roma»? Io non mi sento affatto rappresentato da chi fiancheggia il ministro dell'Integrazione Cécile Kyenge che, offendendo la Costituzione e violando la legge, chiede esplicitamente la legalizzazione della clandestinità e distribuisce certificati di «cittadinanza onoraria» agli immigrati che non hanno diritto alla cittadinanza.

È indubbio che la rinascita dell'Italia deve contemplare la riforma della categoria dei giornalisti per assicurare agli italiani un'informazione corretta e responsabile.
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