Politica

L'effetto dell'asse Barca-Renzi: otto milioni dalla Tav a Firenze

L'assist dell'ex ministro al rottamatore: i fondi dell'Alta velocità dirottati per costruire l'auditorium nel capoluogo toscano. Ennesimo sgarbo democratico ai vertici piemontesi

Il sindaco di Firenze Matteo Renzi
Il sindaco di Firenze Matteo Renzi

La mi porti otto milioni di euro a Firenze... Renzi batte Piemonte uno a zero, grazie all'ex governo Monti e ad un suo ministro in particolare, Fabrizio Barca, con cui il sindaco rottamatore sta flirtando da tempo in chiave scalata al Pd (Barca: «Tra me e Renzi vedo complementarità»), incontrato in un pranzo a Firenze l'altro giorno per coordinare le mosse in vista dell'assemblea Pd di sabato. Uno degli ultimi atti di Barca, nelle vesti di segretario del Cipe (il Comitato per la programmazione economica del governo) è stato infatti un bel regalino a Matteo Renzi e ad uno dei progetti a cui il sindaco tiene di più: il Nuovo Auditorium Teatro dell'Opera di Firenze. Con una delibera il Cipe ha dirottato gli 8 milioni di euro previsti per le opere di compensazione nei comuni della Valsusa toccati dalla Tav, sulla costruzione del nuovo auditorium di Firenze. Un blitz inaspettato, che congela fino al 2016 gli investimenti sul territorio valsusino, ma che arriva provvidenziale per permettere a Renzi di consegnare ai fiorentini l'Auditorium nei tempi prestabiliti, cioè entro il 2014. Proprio l'anno in cui a Firenze si rivoterà per il sindaco... Un assist del «renziano» Barca a Renzi? «Non so se c'è un'azione concordata - dice il deputato piemontese del Pd Stefano Esposito, bersaniano e Sì Tav (ci ha scritto anche un libro, prefato da Bersani...) - sicuramente il ministro Barca firmando quell'atto ha commesso un gravissimo errore, se poi lo ha fatto per ragioni politiche, per ingraziarsi Renzi, ha fatto una sciocchezza. Del resto il governo Monti di sciocchezze ne ha fatte tante. Non metto in dubbio l'importanza dell'Auditorium di Firenze, ma forse a qualcuno stanno sfuggendo le priorità. È indispensabile che il ministro Lupi intervenga subito. Non intendiamo accettare questo spostamento e chiediamo che venga ripristinato ciò che era stato concordato nel 2012».
Renzi si era raccomandato direttamente con Monti, ancora premier, a marzo in un faccia a faccia a Palazzo Chigi. Un'operazione di lobbying riuscita, per rilanciare la cultura a Firenze e appuntarsi una medaglia come sindaco. Ma il «blitz», come lo chiama il bersaniano Esposito, rispecchia anche il mutamento di forze dentro il Pd. Maggiore influenza per l'ala renziana, prossima allo zero per la nomenclatura piddina piemontese, fatta di big fuori dai giochi. A iniziare da Piero Fassino, sindaco di Torino, in fase declinante. Poi Livia Turco, ex ministro, rottamata eccellente alle elezioni, si è reimpiegata (a titolo gratuito?) come funzionaria del Pd, accontentandosi di piazzare una sua protetta, Cecile Kyenge, nella squadra ministeriale. In fase calante anche Luciano Violante, l'ex governatrice Bresso, e tutta la dirigenza piemontese snobbata da Letta nel risiko degli incarichi di governo. «Non un ministro, non un sottosegretario, nessuna rappresentanza: il Pd nazionale ha umiliato il Piemonte» accusa il bersaniano Antonio Saitta, presidente della Provincia di Torino, mentre per protesta si è dimesso il coordinatore regionale Pd piemontese, Gianfranco Morgando (anche la cuneese Ravetto del Pdl e il governatore Cota lamentano l'oblio governativo del Piemonte). Persino Chiamparino, candidato a tutto (Quirinale, segreteria Pd, ministeri vari) è rimasto a bocca asciutta. Con la batosta di Bersani, il cuore del Pd ha cambiato geografia. Giù, lontano dalla Mole.

Più vicino a Palazzo Vecchio.

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