Politica

La Lega rischia di perdere 8 milioni e Maroni vara la spending review

L'ultima tranche di fondi pubbliciu in bilico per l'inchiesta sui bilanci. E il Parlamento potrebbe chiedere indietro altri 17 milioni. Vietati i doppi incarichi, ma è polemica

Sarà rapida ma non indolore, la spending review in casa Lega. Roberto Maroni l'ha annunciata ieri al consiglio federale: obiettivo dimezzare, entro fine settembre, le uscite per la gestione di attività non politiche del partito. Per questo, a «valutare quali delle dieci società costituite negli anni possano essere eliminate o accorpate» sarà una struttura ad hoc, guidata da un Giancarlo Giorgetti «mani di forbice». Spiega Bobo che trattasi di «rendere efficiente e trasparente la gestione contabile», e che da Miss Padania alle gare in bici, si rinuncerà a tutte le manifestazioni che non si autofinanzino.
Il fatto è che da seria la situazione si è fatta grave. Camera e Senato infatti hanno fatto sapere al Carroccio che potrebbero non versare l'ultima tranche del contributo pubblico, perché il bilancio del 2010, quello gestito dall'ex tesoriere Francesco Belsito, è sotto inchiesta, il che significa che anche i successivi potrebbero essersi basati su presupposti sbagliati. Trattasi di 8 milioni di euro, quelli che la Lega ha promesso di girare ai terremotati. Non è tutto. Per lo stesso principio, il Parlamento potrebbe chiedere alla Lega di restituire le tranche del 2010 e del 2011, per un totale di altri 17 milioni di euro. Una botta, per un partito che oggi conta su un attivo di 33 milioni, ma che, avverte un alto dirigente, «l'anno prossimo potrebbe non beccare un parlamentare, e ritrovarsi in rosso». La Lega si opporrà presentando contro osservazioni, a partire dal fatto che, poiché i bilanci erano stati certificati come validi, ogni provvedimento dovrebbe attendere la fine dell'inchiesta in corso. Ieri i legali di via Bellerio hanno depositato in Procura la relazione della Prince Waterhouse Coopers sul rendiconto 2011, nell'ambito dell'inchiesta per truffa ai danni dello Stato in cui è indagato Umberto Bossi. La società di revisione ha evidenziato «alcune criticità legate alla gestione pregressa», quella di Belsito. Nel pomeriggio, è stato il nuovo tesoriere Stefano Stefani a spiegarle al consiglio federale: mancano le giustificazioni ad alcune voci di spesa tra 2010 e 2011, per un valore di circa 700mila euro. Trattasi di «assegni e bonifici di cui non conosciamo la motivazione, anche perché molti documenti sono sotto sequestro». Senza contare altri capitoli misteriosi: una caparra di 300mila euro per l'acquisto di un capannone a Cusago del quale in via Bellerio sono venuti a conoscenza solo perché i proprietari hanno sollecitato il rogito. E 140mila euro spesi in cene e alberghi fra Milano, Roma e Genova con una carta di credito non si sa in uso a chi. Un fronte mai chiuso, quello del passato che ritorna: ieri i pm di Milano hanno ascoltato come teste l'ex socio di Rosi Mauro, Dalmirino Ovieni, chiamato a spiegare alcuni trasferimenti di denaro ricevuti dal Sin.Pa. Decine di migliaia di euro, per la Finanza. «Solo rimborsi spese per alcune centinaia di euro» ha precisato invece la vicepresidente del Senato.
La bomba finanziaria si è abbattuta su un consiglio federale, l'ultimo prima della pausa estiva, già piuttosto litigioso sui doppi incarichi. In principio si era pensato di vietare ruoli istituzionali a chi già ne avesse nel partito, tanto che appena nominata vice di Maroni, Elena Maccanti aveva annunciato le dimissioni da assessore regionale in Piemonte. Un paio di settimane fa, il consiglio federale aveva però rinviato la questione, perché da Tosi, sindaco di Verona e segretario veneto a Cota, governatore e segretario del Piemonte, i casi imbarazzanti erano troppi. Ieri la prima stesura della delibera vietava «più di due incarichi retribuiti a testa». Solo che Zaia ha fatto il diavolo a quattro: «Un culo, una poltrona», ha riassunto: «Stop a chi accumula ruoli». «Qualcuno glieli avrà dati» ha obiettato Calderoli. «Non è giusto che il consigliere di un piccolo comune non possa avere altri incarichi» si sono inalberati Pini e Fava. Il tutto con un Tosi imbarazzato, che chiedeva che almeno la regola non fosse retroattiva. «In effetti non possiamo innescare dimissioni a catena» ha convenuto Maroni. «Perché no? Sono militanti, se glielo chiediamo devono lasciare» ha insistito Zaia.
Il braccio di ferro si è concluso con un no ai doppi incarichi elettivi, quindi per esempio no a un sindaco che sia già senatore, o sieda pure in un Cda. Ma da qui in poi, e «salvo deroghe». Non ha migliorato il clima il microfono che la Zanzara su Radio 24 ha prestato a Salvini per commentare il Bossi dell'«Italia di m...»: «Volgare, la gente è stufa» ha detto il segretario lumbard prima di esprimere l'auspicio di un'intesa con la lista di Oscar Giannino.

Gelo di Bobo: «Le alleanze? Stanno a pagina 25 su 26 pagine di priorità».

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