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La legislatura incompiuta del governo delle tasse: ecco le riforme non fatte

I tecnici spremono gli italiani ma non risolvono i veri problemi. Dalla giustizia al taglio delle Province: ecco le riforme promesse e non fatte

La legislatura incompiuta del governo delle tasse: ecco le riforme non fatte

Tante promesse, tante aspettive, tanti proclami. Tutto in fumo. Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano aveva accolto Mario Monti come il salvatore della patria. Così non è stato. A guardarsi indietro sono davvero troppe le riforme rimaste incompiute. Adesso resteranno chiuse per chissà quanto nelle scrivanie del parlamento.

I tecnici non sono riusciti a far rientrare la crisi economica. Gli indicatori sono tutti quanti negativi, i debito pubblico ha sfondato la soglia astronomica dei 2mila miliardi, la crescita del sistema Italia non è tornata positiva. Insomma, al di là delle tasse, sembrerebbe che l'esecutivo non sia riuscito a imporre. Va subito detto che, parte della colpa, deve essere attribuita anche al conflittualità interna al parlamento. Tuttavia, delle grandi riforme di cui si era fatto carico il Professore non se ne vede l'ombra. Quando, ai primi di dicembre, aveva incontrato Napolitano, il segretario del Pdl Angelino Alfano aveva fatto elencato le innumerevoli promesse fatte da Monti e poi non realizzate. I tecnici si erano infatti presi l'impegno di intervenire sull’abuso delle intercettazioni e sulla resposanbilità civile dei magistrati. "Vorremmo - aveva spiegato l'ex Guardasigilli - che il governo utilizzasse le ultime settimane per mantenere gli impegni presi". A riformare la giustizia il governo Monti non ci ha nemmeno provato.

Sicuramente il bilancio delle occasioni mancate non può che procedere con la riforma della legge elettorale. Tutti dicevano di volerla cambiare, ma un tira e molla durato mesi si è concluso con un nulla di fatto. Nonostante i ripetuti e pressanti interventi di Giorgio Napolitano, i senatori della commissione Affari Costituzionali, che avevano tra le mani la patata bollente, hanno dovuto gettare la spugna, vista l’incapacità dei partiti di mettersi d’accordo. E il Porcellum, con le sue liste bloccate, sarà ancora una volta (la terza) il sistema con cui saranno scelti i deputati e i senatori. A proposito di parlamentari: non ce l’ha fatta a uscire dal limbo delle eterne discussioni nemmeno il taglio del numero di deputati e senatori. Un accordo di massima era stato anche trovato (508 deputati e 254 senatori, con una sforbiciata di 168 unità), ma il disegno di legge costituzionale non ha superato la "linea d’ombra" che separa i progetti di riforma dalla loro approvazione. E il 24 febbraio, giorno delle prossime elezioni, saremo chiamati a eleggere un nuovo esercito di 945 parlamentari (630 alla Camera 315 al Senato).

A finire sul binario morto è stato anche il taglio delle Province: di fronte alle proteste dei loro amministratori locali il governo non è stato in grado di arrivare ad attuare il decreto che riduceva a 51 il numero delle province italiane con una serie di accorpamenti che hanno scatenato una ribellione trasversale condita di campanilismo. Fine ingloriosa anche per la legge sulle misure alternative al carcere, che avrebbe potuto dare una boccata d’ossigeno alle carceri che scoppiano per il sovraffollamento: più che il digiuno di Marco Pannella potè la fine precipitosa della legislatura, nonostante le parole spese da Napolitano e dal ministro della Giustizia Paola Severino, che alla fine ha confessato la propria "amarezza" per aver concluso la legislatura con questo insuccesso.

Se ne riparlerà, forse con la prossima legislatura.

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