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Letta canta vittoria ma deve superare la verifica di governo

Il premier: con il primo ok alla Stabilità l'esecutivo è più forte. Però già prepara gli incontri con i partiti che lo sostengono

Letta canta vittoria ma deve superare la verifica di governo

Roma - Da ieri tutti e tre i leader dei maggiori partiti, Silvio Berlusconi, Matteo Renzi e Beppe Grillo, non siedono in parlamento. Una situazione anomala, ma a Palazzo Chigi Enrico Letta sfoggia ottimismo.
Il giorno dopo aver seppellito le larghe intese e cambiato maggioranza, il premier ignora lo spettro della crisi, nega qualsiasi rimpasto o verifica e annuncia che il suo governo è «più forte e coeso».
Lo ripete più volte, nella sala stampa di Palazzo Chigi, quasi a convincere se stesso più degli altri che la squadra non è fragile come sembra.

Forza Italia parla di «numeri risicati»? Sbaglia, insiste il premier, i 171 voti di fiducia (contro 135) sulla legge di Stabilità della notte prima al Senato, sono «gli stessi dell'ultimo governo Berlusconi del 2008».
Letta indica per il suo futuro un «orizzonte temporale» che comprende tutto il 2014, per completare quei 18 mesi che portano alla fine del semestre italiano Ue, quelli indicati nel suo discorso alle Camere del 29 aprile.
Il presidente del Consiglio nega che sia finito il governo delle larghe intese e sia nato quello di centrosinistra o «sinistracentro», come dicono alcuni. Spiega che il suo esecutivo è sostenuto da «una grande coalizione» formata da partiti politici, come in Germania, Austria, Finlandia e Irlanda, per affrontare «una situazione straordinaria come quella del risultato elettorale di febbraio scorso».

Ora che il leader di Fi e i suoi sono passati all'opposizione («Silvio Berlusconi non mi ha avvertito prima», risponde a una domanda), Letta dice di contare su una maggioranza comunque abbastanza ampia.
«Userò questa forza - assicura - per accelerare il percorso di riforme, il Paese ne ha bisogno». A cominciare da quelle istituzionali, quella elettorale e quelle necessarie all'economia per agganciare la ripresa.
Nei prossimi giorni il premier incontrerà i leader della nuova coalizione «per stabilire il percorso con maggiore collegialità». Sarà dopo l'8 dicembre, quando avrà come interlocutore democratico, salvo colpi di scena, Renzi. «Il giorno dopo le primarie del Pd - dice Letta - mi confronterò con il nuovo segretario e sono convinto che sarà un confronto positivo».

Di certo, la squadra di governo non cambia e «non si pone» il tema del rimpasto. Ma ci sono le condizioni, sottolinea il premier, per la prevedibile uscita di sottosegretari e viceministri di Fi. Letta si stringe nelle spalle e allarga le mani, nel gesto di chi dice una cosa ovvia: si aspetta da loro «atti conseguenti», visto che il loro partito gli nega la fiducia. Su questo, è d'accordo anche Maurizio Gasparri, che parla di «atto di coerenza» (non richiesto invece ai presidenti di commissione di Fi). Si tratta del viceministro agli Esteri Bruno Archi e dei sottosegretari al Lavoro Jole Santelli, alle Infrastrutture Rocco Girlanda (eletti nel Pdl e ora in Fi), del sottosegretario alla Pubblica amministrazione Gianfranco Miccichè (eletto con Grande Sud, alleato del Pdl e ora di Fi), del sottosegretario agli Affari regionali Walter Ferrazza (aderente al Mir di Samorì). Di area centrodestra è anche il magistrato e leader di Mi Cosimo Ferri, sottosegretario alla Giustizia. «Sono un tecnico - dice - e come tale ho cercato sin qui e continuerò a cercare, fino a che sarà ritenuto utile, di dare il mio contributo al governo sulla base della mia esperienza».

Nella fase 2 del governo Letta c'è attesa per le mosse degli scissionisti di Ncd, che ieri hanno votato contro la decadenza di Berlusconi dall'interno del governo. La loro posizione non è poi così comoda e il vicepremier Angelino Alfano, con gli altri 4 ministri, annunciano per oggi un incontro con la stampa sulle questioni politiche.
Per il resto, nessun terremoto.

Anzi, dice Letta, «gli scarti e gli scontri sono dietro le spalle e possiamo lavorare con più unità e coesione».

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