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Letta sale al Colle per sfidare il Pd

Il premier domani da Napolitano: niente dimissioni, vuole lanciare un nuovo programma e mettere i renziani alle strette

Letta sale al Colle per sfidare il Pd

Roma - Enrico Letta prova ad uscire dall'angolo. Su Twitter annuncia: «la settimana prossima, dopo essermi consultato col capo dello Stato, assumerò un'iniziativa per arrivare al nuovo patto di programma». Lunedì, quindi, salirà al Quirinale. Ma a far cosa? Molto probabilmente per coinvolgere la presidenza della Repubblica nella soluzione della crisi. Per tentare una condivisione dei programmi; secondo alcuni, per chiedere protezione.
I suoi uomini escludono che vada al Colle ad annunciare le proprie dimissioni. Al contrario. «Prenderà tempo». L'obbiettivo del premier è «battere sul tempo» l'offensiva di Renzi sul governo, che prenderà forma nella direzione del Pd del 20 febbraio prossimo. Nella sostanza vorrebbe rendere pubblico il nuovo programma di governo (dopo la benedizione del Quirinale), così da verificare se il Pd lo condivide o meno. In tal caso, sarebbe proprio il suo partito a dover prendere le distanze da lui. Quasi una sfida.

Il presidente del Consiglio non vorrebbe mettere subito mano alla sostituzione di qualche componente della squadra di governo. «Che, anzi, è molto coesa - ha detto - e ne sono molto contento».
E per due ragioni, esogene ed endogene. Cioè, esterne ed interne. Le motivazioni esogene sono da mettere in relazione all'appuntamento del 1° marzo. Quel giorno Eurostat ufficializzerà i dati di finanza pubblica (deficit, debito, pil) per tutti i Paesi europei. Se l'Italia dovesse aver superato il tetto del 3% di deficit, e tornare così in procedura d'infrazione (lo deve ufficializzare la Commissione Ue qualche giorno dopo), è evidente che l'intera costruzione di politica economica del governo sarà costretta ad una profonda revisione. E non è un caso che a Strasburgo Giorgio Napolitano abbia sottolineato come non sia d'accordo con «un risanamento finanziario a tappe forzate. Non è perseguibile», ha detto il capo dello Stato. Come se fosse stato informato di qualche possibile orientamento negativo di Eurostat ed abbia voluto stendere un ombrello protettito sul governo.

Qualora l'Italia dovesse aver davvero superato il 3% di deficit, è evidente che le forze di maggioranza potrebbero chiedere a Palazzo Chigi una vigorosa sterzata. Un vero e proprio Letta-bis. Per queste ragioni, è inutile - ragionano a Palazzo Chigi - ritoccare ora la composizione del governo quando poi sarà necessaria una revisione più profonda tra una ventina di giorni.
Al contrario, qualora l'Italia riuscisse a restare sotto il 3%, Letta potrebbe cedere l'«interim» del ministero dell'Agricoltura; e, magari, chiedere a qualche ministro le dimissioni «spontanee». Il sacrificio verrebbe chiesto a Gaetano Quagliariello ed a Enrico Giovannini. Per sostituire quest'ultimo si fa il nome di Pietro Ichino. Napolitano ha già spiegato a Letta che se il rimpasto viene limitato a 3/4 posizioni, può sostituire i ministri senza ricorso al voto di fiducia. Oltre, deve dimettersi ed aprire una crisi «pilotata».

Soluzione che il premier vorrebbe evitare. Anche perché oltre all'appuntamento con Eurostat (fenomeno esogeno), il presidente del Consiglio ha ben chiaro che entro aprile il ministero dell'Economia deve indicare i vertici delle società controllate (fenomeno endogeno). Si tratta, cioè, di nominare (o confermare) i vertici di Eni, Enel, Finmeccanica e Terna.
Posizioni che pesano più di un ministro.

E che possono sempre avere un ruolo qualora il governo dovesse scivolare nel bel mezzo del semestre europeo.

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