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La lettera di Gemayel trovata a casa Scajola: "Lo portiamo in Libano"

Matacena da Dubai: "Mi mantengo facendo il maitre". La Dda: "Scajola scelto per rapporti con le cosche"

La lettera di Gemayel trovata a casa Scajola: "Lo portiamo in Libano"

Esisteva un gruppo di "amici", tra i quali anche Claudio Scajola, che lavorava per fare in modo che Amedeo Matacena non fosse sottoposto all’esecuzione della condanna comminatagli. È questo l'impianto dell'accusa portato avanti dal giudice per le indagini preliminari del tribunale di Reggio Calabria, Olga Tarzia, secondo cui l’ex ministro sarebbe stato individuato dall'imprenditore latitante come "l’interlocutore politico destinato ad operare su sua indicazione" nei confronti della ’ndrangheta.

Gli atti, i documenti, il pc e il materiale informatico sequestrato dalla Dia arriveranno non prima di martedì o mercoledì prossimo. Tra le carte c'è anche una lettera che, secondo gli investigatori, potrebbe costituire un elemento "decisivo" per confermare le accuse a Scajola. Si tratta di una lettera scritta al computer in francese con una sigla che secondo gli investigatori potrebbe essere quella dell’ex presidente libanese Amin Gemayel indirizzata al "mio caro Claudio". Nella lettera si legge che "la persona potrà beneficiare in maniera riservata della stessa posizione di cui gode attualmente a Dubai" e che "avrà un documento di identità". "Troveremo un modo per per fare uscire la persona dagli Emirati Arabi - si legge ancora nella lettera - e farlo arrivare in Libano". Un riferimento chiaro, per l’accusa, a Matacena che si trova attualmente a Dubai.

Secondo il gip di Reggio Calabria, in occasione dei numerosi contatti telefonici, Scajola e la moglie di Matacena Chiara Rizzo avrebbero usato anche Viber e Skype per evitare di essere intercettati. "Oltre a quelle intercettate - è scritto nell’ordinanza - ci sono altre conversazioni che sono parziali e conseguono a pregresse conversazioni e interlocuzioni che i due hanno avuto attraverso l’utilizzo di altri sistemi di comunicazione". E, proprio in una conversazione con la moglie di Matacena riportata nell’ordinanza di custodia cautelare, l'ex ministro avrebbe detto: "I telefoni cellulari per me sono da esaurimento nervoso! Che strumento del cazzo...". Ad ogni modo nelle conversazioni spesso indicavano il figlio di Matacena, ma in realtà ci si riferiva all'imprenditore latitante. "È possibile rilevare - scrive la Tarzia - che le conversazioni tra Scajola e Rizzo spesso sono schermate, allusive ed indirette, nel tentativo di non fare comprendere, nell’ipotesi di 'intrusione', il soggetto cui si riferiscono nei loro dialoghi, alludendo ad esempio in un caso al figlio della Rizzo, ma in realtà riferendosi a Matacena".

Intanto da Dubai Matacena rilascia un'intervista a Repubblica a cui racconta di mantenersi lavorando. "Faccio il maitre in un locale - spiega - di quello vivo, altro che latitanza dorata". Dopo le accuse che gli sono state mosse sui quitidiani vuole chiarire alcune cose, a partire dal fatto che "nell’ordinanza di custodia cautelare ci sono un sacco di sciocchezze". E spiega: "Non avevo nessuna intenzione di andare a Beirut, un’idea del genere non mi ha neppure sfiorato. Sarebbe stata una follia. Mi trovo in un Paese in cui non esiste l’estradizione perché avrei dovuto andare in Libano dove invece esistono accordi bilaterali con l’Italia?". Ed esclude l’esistenza di un piano fra la moglie e Scajola: "Mettetevi nei panni di mia moglie, era disperata e ha cercato aiuto. Fra l’altro, lei non ha mai accettato il fatto che io me ne fossi andato dopo la sentenza e se è venuta qui, è solo per sbrigare le pratiche della separazione". A Dubai Matacena aspetta gli esiti del ricorso perché rimane convinto la sua condanna sia "ingiusta" perché viziata da "un processo politico".

"L’impegno politico in Forza Italia mi è costato molto - conclude - ho perso praticamente tutto, compresa la mia famiglia".

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