Economia

L'euro fa ricchi solo i tedeschi Il bonus ce lo paghi la Merkel

La provocazione si basa sui fatti: con la moneta unica la Germania sfrutta il surplus nella bilancia dei pagamenti. Ora ha il dovere di reflazionare per trainare gli altri Paesi

L'euro fa ricchi solo i tedeschi Il bonus ce lo paghi la Merkel

diA lla cancelliera tedesca, Angela Merkel, il giovane premier italiano piace. Almeno così pare. E nel loro primo incontro a Berlino la donna più potente del mondo era entusiasta delle slide con cui Matteo Renzi aveva presentato il suo programma di governo agli italiani. Era marzo di quest'anno. Di incontri tra i due capi di governo in questi mesi ce ne sono stati, poi, diversi. Tutti molto amichevoli, e la cancelliera non ha perso occasione per apprezzare il «nuovo corso» della politica italiana, al di là delle dichiarazioni più critiche del suo portavoce; del suo ministro delle Finanze, Wolfgang Schaeuble; e dei botta e risposta tra il presidente della Bundesbank, Jens Weidmann, e Matteo Renzi.
Se ad Angela Merkel il presidente del Consiglio italiano piace tanto, allora, perché per la politica economica tedesca non prende spunto proprio dalle prime misure prese da Renzi in campo economico? Per esempio, gli 80 euro al mese in busta paga? Lo ha scritto in maniera ironica in un tweet nel primo pomeriggio di sabato Antonio Polito. Ma l'idea ha un suo fondamento economico, nonché solide motivazioni, che potremmo definire «storiche», riconducibili tanto ai famigerati Trattati europei (in particolare il Six Pack e il Fiscal Compact) quanto ai rapporti Germania-Stati Uniti.
Traducendo in linguaggio tecnico il tweet di Polito, intendiamo dire che, piuttosto che dilaniarci nel dilemma flessibilità sì-flessibilità no; flessibilità come-flessibilità quando, con relativi botta e risposta, abbiamo visto, Germania-Italia, quel che serve oggi in Europa è la reflazione, vale a dire un aumento della domanda interna, quindi dei consumi, degli investimenti, dei salari, delle importazioni e, di conseguenza, della crescita, in Germania e, contestualmente, negli altri paesi.
Lo scorso 15 novembre, la Commissione europea ha segnalato, come previsto dal Six Pack, le situazioni di squilibrio macroeconomico dei singoli paesi dell'eurozona. Con riferimento al saldo della bilancia dei pagamenti i parametri sono «particolari»: le sanzioni scattano quando il deficit delle partite correnti supera, nella media degli ultimi 3 anni, il 3% del Pil, mentre in caso di surplus il paletto è fissato al 6%. Limite tutt'altro che stringente. Nel 2012, guarda caso, il surplus medio della Germania relativo al triennio precedente (2009-2011) era pari proprio a 5,9%. Nel 2013, invece, nonostante i parametri fissati ad hoc, è andata male per i tedeschi, e la media del triennio 2010-2012 ha superato il 6,5%. Le prime stime sul triennio 2011-2013 si attestano addirittura oltre il 7%.
Questo significa che, con tale surplus della bilancia dei pagamenti, la Germania ha un vantaggio competitivo sulla crescita, potendo di fatto contare su un euro tedesco sottovalutato. Al contrario, gli altri paesi dell'eurozona, con la moneta unica sopravvalutata rispetto ai propri fondamentali, non riescono a esportare e a fare affluire, in tal modo, risorse nelle finanze pubbliche.
L'euro tedesco, di fatto, contro ogni volontà e sogno, ha distrutto l'Europa, creando squilibri crescenti, appunto, nelle bilance dei pagamenti; e tassi di interesse divergenti, senza alcun meccanismo di redistribuzione e di riequilibrio. È questa la malattia mortale che ci affligge. Perché gli squilibri nei rapporti tra esportazioni e importazioni e nei flussi di capitali si riflettono sul deficit e sul debito pubblico degli Stati. E quindi sulla loro credibilità. E quindi sul loro merito di credito. Negli anni della crisi i mercati non hanno fatto altro che sanzionare ciò. Tutto parte dalle bilance dei pagamenti, che si portano dietro tassi di interesse, deficit, debito e, di conseguenza, nuovamente i tassi di interesse.
La soluzione, dunque, al di là di tutto quanto fatto (inutilmente) finora è una sola: i paesi che registrano un surplus nella bilancia dei pagamenti (che include sia i movimenti delle merci sia i flussi di capitali) hanno il dovere economico e morale non di prestare i soldi, non di «salvare» (come è stato fatto finora), ma di reflazionare. Cioè aumentare la loro domanda interna, trainando le economie degli altri Stati.
Commissione europea e Fondo Monetario Internazionale non sono gli unici a criticare (ex post) la politica economica sangue, sudore e lacrime dettata da Angela Merkel a un'Europa troppo tedesca e l'eccessivo surplus delle partite correnti della bilancia dei pagamenti della Germania. A marzo 2014, il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, dichiarava: «I Paesi con surplus forti hanno spazio per fare di più per sostenere la domanda aggregata in Europa». La feroce e circostanziata critica del presidente Usa nei confronti della politica economica tedesca è solo l'ultima manifestazione di un conflitto carsico che dura da tempo. Il primo clamoroso contrasto risale alla metà degli anni '70. In un mondo sconvolto dalle due crisi petrolifere, durante le prime riunioni del Fmi, gli Stati Uniti chiesero con insistenza alle autorità tedesche di reflazionare la loro economia, che fin da allora presentava consistenti avanzi della bilancia dei pagamenti. Non avendo ottenuto risposta, impostarono la politica del «benign neglect» (benevolo disinteressamento) rispetto al dollaro, che cominciò a perdere di valore, costringendo il marco a rivalutarsi. Ancora più forte fu il contrasto a seguito della crisi del Sistema monetario europeo: crisi in larga misura determinata dalle modalità assunte dalla Germania per finanziare la riunificazione del paese dopo la caduta del muro di Berlino. Gli altri partner europei e gli stessi Stati Uniti chiedevano alla Bundesbank di ridurre i tassi di interesse. Ma nemmeno quella volta vi fu una risposta positiva. E la crisi del '92-'93 continuò il suo corso, fino a determinare un più generale sconquasso.
Ora il dibattito verte sulle politiche di austerity condotte fino ad oggi e accettate passivamente dai governi europei. E gli Stati Uniti, forse memori di quei precedenti, hanno alzato il tiro. E tornano a chiedere alla Germania la reflazione. Si può dar loro torto?
Caro presidente Renzi, approfitta della benevolenza della cancelliera Merkel nei tuoi confronti, e più che chiedere flessibilità per l'Italia, chiedi la reflazione in Germania. La Germania deve reflazionare per cause di forza maggiore, cioè per rispondere alle segnalazioni ricevute dall'Europa a causa dell'eccessivo surplus della bilancia dei pagamenti (netta prevalenza delle esportazioni sulle importazioni). Ma anche gli altri paesi devono farlo. Come? Definendo accordi bilaterali tra i singoli Stati e la Commissione europea, per cui le risorse necessarie per l'avvio di riforme volte a favorire la competitività del «sistema paese» non rientrano nel calcolo del rapporto deficit/Pil ai fini del rispetto del vincolo del 3%, mentre rientrano nell'alveo dei cosiddetti «fattori rilevanti» per quanto riguarda i piani di rientro definiti dalla Commissione europea per gli Stati che superano la soglia del 60% nel rapporto debito/Pil. Concretamente, ciascun paese definisce, sulla base delle proprie caratteristiche e specificità, le riforme da implementare al proprio interno, per 1-2 punti di Pil; adotta simultaneamente le riforme definite con la Commissione europea; beneficia degli effetti positivi delle proprie riforme; beneficia, altresì, degli effetti positivi delle riforme adottate dagli altri Stati, attraverso l'aumento delle esportazioni. Risultato: ogni singolo Stato tornerà a crescere, con regole nuove, moderne, competitive; l'intera eurozona tornerà a crescere, con regole nuove, moderne, competitive. Un gioco a somma positiva. Per tutti. Caro presidente Renzi, il semestre europeo di presidenza italiana è solo all'inizio. Dagli una tua connotazione.

E i popoli d'Europa, che tanto hanno sofferto in questi anni, saranno con te.

Commenti