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L'euroscetticismo? È liberale

Ha storicamente una doppia natura: liberale e identitaria, non a caso le due anime che compongono il centrodestra italiano. Ma i liberali...

L'euroscetticismo? È liberale

Quando il gioco si fa duro, i duri dovrebbero cominciare a giocare; è una regola che il grande John Belushi ci ha lasciato. Invece succede che quando il gioco si fa duro, i liberali italiani iniziano con i distinguo: “però, ma, se, forse…”. È come se, costruite le condizioni per poter scendere in campo, all’ultimo momento decidessero sempre di rimanere in panchina o addirittura andare in tribuna perché da lì la partita si vede meglio anche se non si gioca.

La cosa si sta verificando di fronte al fenomeno dell’ascesa dirompente dei movimenti anti-europeisti.

L’euroscetticismo ha storicamente una doppia natura: liberale e identitaria, non a caso le due anime che compongono il centrodestra italiano; eppure mentre la seconda ha raccolto in pieno la sfida contro l’Europa (è il caso della svolta anti-Ue di Giorgia Meloni con Fratelli d’Italia e della Lega di Salvini), l’area liberale resta diffidente rispetto a posizioni di critica radicale all’Europa.

L’europeismo ideologico, imposto da Bruxelles per nascondere i fallimenti politici ed economici, scricchiola sotto l’emergere di un sentimento d’insofferenza diffuso dovunque, generato dalla crisi economica e ampliato dalla percezione che gli spazi di decisione democratica e di sovranità nazionale sono ormai persi. Un sentimento che non è (come molti maestrini del politically correct dicono) contro l’Europa, ma contro questa Europa governata da alchimisti della moneta e da oscuri burocrati senz’anima. Di fronte a tutto questo, i liberali italiani sembrano troppo impegnati a scoprire cosa non appartiene loro di questo sommovimento piuttosto che provare ad indirizzarlo verso percorsi virtuosi.

Il paradosso è che furono proprio i liberali i primi a mettere in dubbio l’Unione Europea e l’euro, anticipando quelli che ne sarebbero stati gli effetti devastanti in termini di sbilanciamento economico e di deriva autoritaria e burocratica. Ad esempio, fu Margaret Thatcher, con i suoi tre “no”, a convincere la Gran Bretagna a restare fuori dall’euro e a non accettare il progetto Delors che prevedeva la riduzione della sovranità nazionale britannica; e fu questo suo coraggio a dare agli inglesi il potere contrattuale con il quale strapparono la loro partecipazione al progetto unitario con precisi opt-out ancora oggi applicati (dal rifiuto di ratifica del Trattato di Schengen, fino a quello più recente del Fiscal Compact).

Fu l’americano Milton Friedman, il grande economista liberale della scuola di Chicago, a dire che l’euro sarebbe stato “una fonte di guai”, e fu Martin Feldstein, uno dei consiglieri economici di Ronald Reagan, a scrivere già nel 1997 in un saggio su Foreign Affairs che l’unione monetaria avrebbe nel tempo aperto conflitti tra i paesi europei.

Due anni fa, in Italia, è stato il liberale Antonio Martino con una micro-pattuglia di parlamentari del Pdl, ad opporsi invano all’approvazione della follia del Fiscal Compact da parte del nostro Parlamento denunciando la perdita di sovranità economica del nostro paese a vantaggio degli “eurosauri” di Bruxelles.

A ben vedere, molti dei movimenti antieuropei che frettolosamente sono indicati come xenofobi e di estrema destra, hanno posizioni liberali su molti temi: sono liberisti in economia i fiamminghi del Vlaams Belang, così come i tedeschi di Alternativa per la Germania, il partito euroscettico che ha sfiorato l’ingresso in Parlamento alle ultime elezioni; liberale è l’inglese Ukip, rigorosamente antiUe (che recenti sondaggi danno primo partito in Gran Bretagna), ed era un liberal-libertario Pim Fortyun, il leader (omosessuale dichiarato) della destra olandese, assassinato da un estremista di sinistra, ricordato per le sue posizioni anti-islamiche ed euroscettiche.

E i liberali italiani? Non pervenuti, e questo è un errore che rischiano di pagare caro. Il risentimento verso l’Europa, che attraversa l’opinione pubblica italiana, riguarda soprattutto l’elettorato che ha creduto nella rivoluzione liberale berlusconiana (i ceti produttivi di piccoli e medi imprenditori, professionisti, artigiani, commercianti) e che sta subendo la violenza delle politiche di austerity e di oppressione fiscale imposte dall’Ue; sarebbe un peccato se, per la timidezza dei liberali italiani, questi elettori fossero costretti a scegliere tra i deliri di Grillo e i sorrisini sadici di Van Rompuy

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