Politica

Libera lettera a Silvio su servi e uomini liberi

Caro Silvio,
scrivo questa lettera con slancio e amarezza. Tu sai quante volte negli ultimi tre anni ci siamo visti, abbiamo parlato di donne, di televisione, di politica. Abbiamo stretto un'amicizia che risaliva al 1989, quando io difesi, su un giornale neutrale, il glorioso L'Europeo, la tua legittimità a essere quell'editore che l'allora vituperato Montanelli riconosceva. Cominciò allora il tempo dell'infamia, quando tutti gli intellettuali stavano dalla parte di De Benedetti, come editore «buono» con giornalisti «liberi», mentre tu eri l'editore «cattivo» con giornalisti «servi». Poi Montanelli ha ribaltato il tavolo e quell'infamia si è potenziata. Ma il vero e coerente erede di Montanelli, Vittorio Feltri, con la sua esperienza di direttore e di giornalista, ha dimostrato che si può essere liberi anche non essendo di sinistra, condizione pressoché eretica per un intellettuale (ma le eccezioni sono vigorose: Elémire Zolla, Guido Ceronetti, Roberto Calasso, Quirino Principe, Geminello Alvi, Pierangelo Buttafuoco e, anche, Alberto Arbasino. Pochi ma impeccabili).
Lo stesso si può dire di Giuliano Ferrara che, pur fazioso e facile (...)

(...) agli innamoramenti, ha inventato il quotidiano «culturale» più rigoroso e «godibile» degli ultimi vent'anni (come riconobbe Edmondo Berselli), infinitamente più stimolante, anche se meno «graffiante», dell'altro prodotto editoriale riuscito e vicediretto da un anomalo e disubbidiente intellettuale di destra, Marco Travaglio, che è il Fatto Quotidiano. Un caso a sé è quello di un giornalista di sinistra, Giampaolo Pansa, «libero» a destra, dove gli hanno consentito di dire quello che non poteva scrivere su Repubblica e L'Espresso. Anomalie di libertà e di servitù.
Nella communis opinio della sinistra la situazione non è cambiata, anzi è peggiorata. Tu, al centro di una costante tempesta giudiziaria e giornalistica, sei il padrone, e chi sta con te è un servo. Inutile ricordare (anche perché, in un modo o nell'altro, se ne sono andati tutti) gli spiriti liberi che sono stati con te, rinnegando la sinistra. Alcuni grandissimi pensatori, dopo il dandy Ferrara che ritrovò in te la vita perduta con Togliatti e Berlinguer, Lucio Coletti, Saverio Vertone, Vittorio Mathieu, Antonio Martino, Giancarlo Lehner, Giorgio Rebuffa, Marcello Pera, Giuliano Urbani, Marco Taradash e, anche per un periodo non breve, Marco Pannella ed Emma Bonino e, perché no, Mario Monti. Tutti liberali, tutti liberi e dotati di pensiero autonomo, certo non servi. Poi il panorama è mutato e tu hai voluto dar ragione ai tuoi avversari, che erano stati smentiti dai fatti.
Per quello che mi riguarda, rispetto alle mie competenze, hai avuto la forza di mettermi ai Beni culturali, come l'evidenza sembrava indicare, per poi cacciarmi l'anno dopo. Come avevi fatto, su suggestioni di cattivi consiglieri, e senza riti bulgari, allontanandomi dalla televisione (pare per risparmiare sulle querele e per mostrare uno spirito conciliante con l'ordine giudiziario che, poi, non sarebbe servito e che le tue esternazioni hanno largamente smentito).
Così, dal 2002 (io rimasi come un fantasma in Parlamento fino al 2006), i nostri rapporti si rallentarono e si intiepidirono. Sono ripresi tra il 2009 e il 2010, quando tu sei entrato nella nuova violenta bufera mediatica e giudiziaria e io ho ricominciato a difenderti. Lo si sa, io non posso credere che nell'Italia liberata da ipocrisie e da pregiudizi, dopo Pasolini, tu solo ne debba essere vittima, rimproverandoti, con la separazione da tua moglie, i rapporti con ragazze libere, ambiziose e determinate e anche, ovviamente, interessate e giovanissime. Abbiamo già avuto un caso Braibanti! E Pannella si fece sentire. In che cosa è vittima o parte lesa Ruby (come lei stessa oggi chiarisce)? E dove è Pannella?
L'unico reato che vedo, come nel caso delle badanti dei Paesi dell'Est con gli anziani, è quello indicato da Maria Giovanna Maglie: «circonvenzione di attempato». Ma tu sei stato travolto e, per questo, con disgustoso moralismo, non per altro, ti dichiarano «impresentabile» e, per aggiunta, ti appiccicano l'orrido e veramente impresentabile De Gregorio. Che non può essere stato comprato perché si è offerto di essere servo. Lo ha chiesto, con le pericolose regole della democrazia, per diventare presidente della Commissione Difesa (la sinistra ne conosce bene l'uso, e ne diede prova, a parti inverse, eliminando Riccardo Villari dalla presidenza della Commissione Vigilanza della Rai per sostituirlo con Sergio Zavoli, che non era neppure membro di quella Commissione).
Anche in questo caso non c'è materia di processo, ma solo evidenza di sputtanamento. E fin qui sappiamo tutto. E tu conosci la mia posizione. Ma da qualche mese ho smesso di parlarti, da metà gennaio circa. Riprendo ora a scriverti. Senza rumore le nostre strade si sono separate e io non rinnegherò quello che ho detto con ferma convinzione.
Vorrei, come ho fatto in altre occasioni, esporti il mio punto di vista. Ricorderai che fui io a suggerirti lo «spacchettamento». Poi, in un modo o nell'altro, con molta approssimazione, realizzato. Ne è uscito, almeno dignitoso risultato, Fratelli d'Italia, che hanno dimostrato legittime insofferenze, pur restando fedeli (mai servi). E forse non ce ne era bisogno perché tu hai combattuto con un'energia titanica, hai fatto tutto da solo. Ricorderai che non ti piaceva più nessuno. Che non potevi vedere, in televisione, Gasparri, Cicchitto, Quagliariello, La Russa, e tanti bravi ma consumati, o alla fine inutili.
Ancora una volta i voti li hai presi tutti tu. Avresti voluto una nuova Forza Italia con tanti giovani mai prima candidati e sindaci virtuosi. Potevi farlo e avresti vinto.
Nella fase embrionale, alla ricerca di accordi con forze esterne, avevi evocato i nomi dell'inutilmente corteggiato Casini, di Montezemolo, e il mio. Io avrei potuto guidare un piccolo drappello «rivoluzionario» che ti piaceva e che pretendeva la sua autonomia, pur senza rinnegarti.
Tu mi ascoltavi, ma io ero guardato come un marziano dai tuoi, sintetizzati negli occhi a palla di Rosaria Rossi. Ti suggerivo strade insolite (come Pannella ministro della Giustizia) e venivo considerato come un disturbatore (anche se allegramente e compiaciutamente ospitato dal nostro Sallusti).
Oggi, che le mie denunce contro la mafia sono riconosciute da tutti, devo ricordarti che quando il mio comune, Salemi, fu sciolto per mafia dallo stesso Stato che ti incrimina, nessuno del Pdl mi espresse solidarietà, e Alfano e la Vicari, in nome della giustizia degli Ingroia, mi osteggiarono e fecero una ridicola lista contro di me, candidato sindaco a Cefalù. Per perdere insieme, ovviamente.
Allora ti dico che, insieme agli sconosciuti che sarebbero entrati e rientrati in virtù della tua forza, non dovevi rinunciare a quelli dotati di pensiero e di autonomia di giudizio. Penso a Fiamma Nirenstein, penso a Paolo Guzzanti, penso a Giancarlo Lehner, penso anche a quelli che potevi chiamare, come Anna Maria Bernardini de Pace, aggiungendola anche al collegio degli Avvocati, dove una donna manca. E penso a Ida Magli, e penso a Geminello Alvi, a Marcello Veneziani.
Essere privi di pensiero è peggio che essere servi. E mi devi dire in che cosa potrà avere rilievo la militanza parlamentare di Galan, che nominò il ladro Marino Massimo De Caro direttore della Biblioteca dei Girolamini di Napoli. Colpe e reati evidenti. E se la giustizia ha un pregiudizio politico, in altri casi che conosci bene, non può essere solo nei tuoi confronti; perché la battaglia sia credibile a molti potevi rinunciare, ma non a Cosentino. Che infatti ora è in carcere, non certo per l'evidenza dei reati.
Dopo queste considerazioni, ora vorrei dirti che, non per condividere la mia scommessa, o per il mio divertimento di provocatore ma, insistendo a chiedere un moderato di centrodestra al Quirinale, in questi tempi, non mi fermerei a nomi prevedibili sui quali la risposta negativa è scontata (penso ancora al migliore che hai, Antonio Martino), ma cercherei un nome tra quelli che hanno reso gloriosa l'Italia nel mondo, senza fare politica attiva. E chi meglio di Riccardo Muti, il cui «mestiere» di direttore d'orchestra è il più simile a quello di chi deve far nascere l'armonia da varie e discordanti componenti? Lo abbiamo suggerito, io per primo, sulle pagine de il Giornale, de Il Giorno, di Libero, giornali non servi ma liberi.
Se Napolitano nominò Monti, non politico, prima senatore a vita e poi presidente del Consiglio, perché lo stesso non può toccare a Muti? Pensaci, e considera lo sconcerto nel campo della sinistra e dei grillini che dovrebbero, davanti al mondo, dire no a un italiano conosciuto e universalmente ammirato.
Lui stesso mi ha ricordato il caso del musicista polacco Ignacy Paderewski, che fu addirittura presidente del Consiglio, impegno più gravoso. Che Berlusconi indichi il nome di Muti, e su quel nome chieda convergenza, determinerebbe un effetto imprevisto e la incontenibile ira di chi crede che la cultura e l'arte in Italia siano sua esclusiva, come Eugenio Scalfari. Con quale faccia potrà dirci che Rodotà, Zagrebelsky, o Prodi, sarebbero migliori presidenti di Riccardo Muti? Auguri Silvio, e buona fortuna.

segue a pagina 8

di Vittorio Sgarbi

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