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Libertà di Stampa, la Ue ci boccia

Il parere di tre eurosaggi contro la nostra normativa: "Il carcere per i giornalisti è una normativa liberticida"

Libertà di Stampa, la Ue ci boccia

Roma - L'Europa boccia le normative italiane sulla diffamazione, che non sarebbero «pienamente conformi agli standard di libertà di espressione». Un modo elegante per dire che si tratta di leggi liberticide. A dirlo con chiarezza è la cosiddetta «commissione di Venezia» del Consiglio d'Europa, che ha prodotto un parere sulla legislazione della diffamazione nel nostro Paese firmato da tre membri: il britannico Richard Clayton, l'austriaco Christoph Grabenwarter e l'islandese Herdís Thorgeirsdóttir.

I tre esperti partono dai casi più spinosi degli ultimi anni, soffermandosi soprattutto sulle vicende di Alessandro Sallusti e Maurizio Belpietro. Il primo riguarda il direttore del nostro giornale, condannato a 14 mesi di prigione «per un articolo diffamatorio scritto da un giornalista anonimo sulla decisione di un giudice relativa all'aborto di una ragazza di 13 anni», sentenza poi commutata dal presidente della Repubblica in una multa. Il secondo riguarda il direttore di Libero, punito per un articolo ritenuto diffamatorio scritto da un senatore, che ha provocato la condanna del nostro Paese da parte della Corte Europea. In entrambi i casi «la natura e la severità della pena imposta, cioè il carcere, seppure poi sospesa, hanno avuto un significativo effetto raggelante e, in assenza di circostanze eccezionali tali da giustificare una sanzione così severa, costituisce un'interferenza sproporzionata con le legittime intenzioni perseguite».

Frasi molto dure, pur annacquate dall'euroburocratese, confermate nelle conclusioni dei tre giuristi, secondo i quali «è legittimo limitare la libertà di espressione con le leggi sulla diffamazioni nell'intento di proteggere il diritto alla reputazione. Tuttavia, le misure restrittive non devono essere troppo pesanti e devono conformarsi al principio di proporzionalità, al servizio di un'esigenza sociale pressante». Insomma, basta con la galera per i giornalisti, anche se solo minacciata. «La prigione per diffamazione deve essere abolita, eccetto che in limitati casi estremi come per discorsi d'odio o incitamento alla violenza, e ingenti ammende devono essere applicate con attenzione per evitare di dissuadere giornalisti o altri commentatori dal dare il loro contributo a discussioni di interesse pubblico». Non solo: «Le autorità devono rispettare il diritto dei giornalisti di diffondere informazioni in questioni di interesse generale, compreso il ricorso a un grado di esagerazione o provocazione, purché in accordo con il giornalismo responsabile». Insomma, bisogna cambiare. E in fretta: «La commissione di Venezia incoraggia le autorità italiane a concludere il processo legislativo in corso sulla legislazione della diffamazione» tenendo conto di queste raccomandazioni.

I giornalisti italiani ringraziano.

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