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L'impresa che non può lavorare per un debito da un centesimo

L'Inps ipotizza un'irregolarità nei contributi versati da un'azienda veneta e le impedisce di partecipare alle gare

Foto tratta dal sito RovigoOggi.it
Foto tratta dal sito RovigoOggi.it

Rovigo - Per un centesimo un imprenditore rischia di dover rinunciare alla sua azienda. Perché tanto vale, secondo l'Inps, l'impresa edile di Rovigo alla quale nei giorni scorsi l'istituto previdenziale ha negato il rilascio del Durc, il Documento unico di regolarità contributiva, senza il quale non solo non è possibile incassare i compensi per i lavori svolti, ma neppure è ammessa la partecipazione a gare d'appalto o la facoltà di godere delle agevolazioni in favore dei lavoratori dipendenti, esposti per questo al rischio della disoccupazione.

Insomma, una catastrofe. E tutto per un centesimo. «Casi del genere ci lasciano esterrefatti: non ci si rende conto delle ripercussioni», tuona il direttore provinciale rodigino della Cna, Alessandro Monini. Non meno tenero il presidente della Regione Veneto, Luca Zaia: «È inconcepibile che in un Paese tra le prime dieci potenze economiche mondiali si consolidi un sistema fiscale capace di tali aberrazioni. Ancor più della crisi, sono questo insopportabile apparato e le sue pratiche assurde i peggiori nemici di chi vuole fare impresa e chiede di poter lavorare contando sulle proprie capacità». Non ci sta però a passar per cattiva l'Inps: «L'indicazione del valore di un centesimo - ribatte la direzione provinciale dell'istituto - è solo simbolica e serve a segnalare che un'irregolarità è presente e deve essere valutata e quantificata. È quindi un segnale di allerta che necessita di un'attività di sistemazione e non attiene al valore sostanziale e reale dell'omissione contributiva».

Il che, tuttavia, oltre a complicare la vita dei cittadini e a confermare la tortuosità dei processi logici della burocrazia, non convince i tartassati: «Questi sono buchi nel sistema informativo. Lo Stato - rilancia Monini - deve comprendere che un imprenditore, per risolvere questioni del genere, deve perdere ore di lavoro, girando tra i vari uffici». Come appestati in un lazzaretto, per curare un morbo che non risparmia il resto d'Italia. Ad esempio, s'era verificato già a Rovigo, lo scorso ottobre, un episodio che aveva avuto per protagonista la titolare di un'impresa di pulizie. Stoppata dall'Inps per un debito sempre uguale: un centesimo. E poi le peripezie patite dall'Anfass di Ostia, che per un centesimo non versato divenne destinataria d'una sanzione da 155mila euro, o il niet opposto a un'azienda di Anagni, alle porte di Roma, che per il solito centesimo si vide negare il Durc a mezzo raccomandata (con spese postali pari a 5,70 euro, ovvero 570 volte l'importo preteso). O ancora la sanzione inflitta a Luciano Giaretta, agricoltore veneto che nel cuore dell'estate ricevette una multa di 55,28 euro per aver pagato 3.363 euro rispetto ai 3.363,01 di contributi previdenziali richiesti e arrotondati al ribasso neppure per colpa sua, bensì della macchina pagatrice dei bollettini, evidentemente tarata per ragionare secondo le logiche del buon senso.

Tutti, e come loro tanti altri, vittime del famigerato centesimo. Solo il simbolo (e nulla più) della normale prassi amministrativa, come sostiene l'Inps? Non proprio. Almeno, non sempre. Sei mesi fa un pensionato di 84 anni residente a Riccione, Emilio Casali, s'era visto richiedere dall'istituto previdenziale un rimborso, manco a dirlo, di un centesimo, percepito in eccesso «nel periodo tra il 10 gennaio 1996 e il 31 dicembre 2000», con facoltà però di procedere al pagamento «in unica soluzione o a rate», manco fosse possibile rateizzare il nulla. La vicenda si chiuse con tante scuse, l'avvio di un'indagine interna e la rimozione dei responsabili.

Perché a volte i draghi esistono, e nella battaglia perdono.

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