Politica

L'imputato in aula si difende: «Non c'entro nulla»

Torino«Ero in pigiama quando ho sentito gli spari. Sono corsa verso la finestra che si affaccia su via Barbaroux e mi sono sporta per vedere cosa fosse successo. Ho visto un motorino e un uomo con il casco e ho pensato che quegli spari fossero in realtà il rumore dello scoppio di una marmitta. Poi ho sentito qualcuno che gridava di chiamare la polizia, sono corsa a prendere il telefono. Stavo per fare il 113 quando dall'altra stanza è arrivata la babysitter gridando “è l'avvocato”».
È uno dei tanti flashback rivissuti ieri in aula da Angelica Corporandi d'Auvare, la moglie del consigliere comunale dell'Udc Alberto Musy, ferito a colpi di pistola il 21 marzo 2012 nel cortile di casa in centro a Torino. Ieri la donna ha testimoniato per prima nel processo che vede alla sbarra Francesco Furchì, il faccendiere, come lo definisce il pm, accusato di essere l'uomo con il casco bianco e nero che commise l'agguato. La moglie di Musy ha ripercorso, quella mattina, gli attimi dell'attentato. «Sono corsa in cortile – ha raccontato ai giudici - . Alberto era in piedi, accanto a lui un nostro vicino lo stava aiutando. Lo accompagnammo sulle scale per farlo sedere. Alberto mi disse: “Ange, mi hanno seguito”, “c'era un motorino”. Era lucido e parlava, gli tamponai la ferita sulla testa. Non usciva tanto sangue e questo all'inizio mi aveva tranquillizzata». Poco prima Musy aveva detto a Maurizio Piras, il vicino che per primo lo soccorse «C'era un uomo con il casco girato di spalle vicino al cancelletto delle cantine. Gli ho chiesto che cosa stesse facendo, ma lui si è girato e mi ha sparato. In che mondo viviamo se un pazzo ti spara senza motivo?». Poco dopo Musy ha perso conoscenza e da quel momento non si è più ripreso. Ad ascoltarla in aula c'era anche Francesco Furchì. I due non si sono scambiati nemmeno uno sguardo. Furchì prendeva appunti: «Ho la coscienza a posto-ha detto-.

Sono sereno».

Commenti