Politica

Lite fra i guru (rossi) della Costituzione

Pasquino sbeffeggia Zagrebelsky&Co: "Imbalsamatori della Carta, sparano a zero solo sul presidenzialismo"

Lite fra i guru (rossi) della Costituzione

L'attuale dibattito sulla Costituzione - se riformarla, e come - è innegabilmente uno dei più necessari nell'attuale momento politico, e quindi uno dei più intellettualmente feroci. L'attacco più recente, col fioretto dell'ironia, è quello portato dal politologo Gianfranco Pasquino (per quasi mezzo secolo docente di Scienza politica all'Università di Bologna, senatore dall'83 al '92 per la Sinistra Indipendente e dal '94 al '96 per i Progressisti) al «compagno di squadra» Gustavo Zagrebelsky, già giudice della Corte costituzionale, presidente di Libertà e Giustizia, firma di Repubblica e fra i fondamentalisti del «neocostituzionalismo».

Il sito della prestigiosa e progressista rivista il Mulino, dall'altro ieri, nell'indifferenza generale, apre con un articolo - sottile per ironia, devastante per gli effetti - del professor Pasquino (che negli anni '80 diresse la pubblicazione del Mulino) dal titolo tranchant: La Costituzione imbalsamata. Dove ovviamente, per il riformatore Pasquino, l'imbalsamatore è Zagrebelsky, il quale considera la nostra Costituzione intoccabile (dimenticando che i costituenti stessi, saggiamente, scrissero un articolo apposito per regolamentare le eventuali riforme, considerate quindi possibili), insomma la vede come “la più bella del mondo”, tanto che «vorrebbe esibirla a un concorso di bellezza fra tutte le Costituzioni esistenti».

Partendo dall'intervista rilasciata giorni fa dal presidente emerito della Corte Costituzionale al Corriere delle sera, Pasquino rileva che «Disponendo forse di informazioni riservate, Zagrebelsky ci ha dato, non contrastato dall'ossequioso intervistatore (Aldo Cazzullo, ndr), un sacco di notizie democratiche e istituzionali. La prima, è che grazie al presidenzialismo o semipresidenzialismo, i colonnelli, come in Sudamerica, sono diventati capi di Stato... I dati storici, però, dicono inconfutabilmente che sono i generali a diventare capi di Stato nelle Repubbliche presidenziali e semipresidenziali, come Eisenhower (1952-60) e de Gaulle (1958-69). Poco sembra importare al giurista che entrambi abbiano vinto e rivinto elezioni democratiche e competitive e che nessuno all'Occidente considera né competitive né democratiche le elezioni russe. Peccato che l'intervistato non riesca a spingersi più in là con la sua memoria. Diciamolo: il vizio del presidenzialismo è d'origine. Addirittura il primo presidente degli Stati Uniti fu un generale: George Washington».

E, come surplus, Pasquino aggiunge l'esempio della Repubblica di Weimar (1919-33), dove si ebbe un generale, Paul von Hindenburg, «democraticamente eletto e rieletto, anche con il voto dei socialdemocratici tedeschi già in preda alla sindrome di Stoccolma, vale a dire, per seguire l'analogia zagrebelskyana, innamoratisi del loro nemico». E anche la Costituzione di Weimar, scritta da alcuni dei più brillanti giuristi del tempo, fu un caso di semipresidenzialismo. Ma questi «sono tutti particolari marginali per gli imbalsamatori della Costituzione italiana pronti a sparare a zero sul presidenzialismo e, quando si ricordano che non è la stessa formula istituzionale, anche sul semipresidenzialismo».

Del resto, conclude amareggiato e sarcastico Pasquino (che con tale ironica puntualizzazione rischia ora di essere arruolato d'ufficio tra i “quattro gatti liberali”) «La Costituzione italiana, dichiarano solennemente gli “imbalsamatori”, “non è cosa vostra”, cioè di noi cittadini riformatori. Quindi malvagi».
Quelli che il diritto è uno solo.

Il loro.

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