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L'ultima di Spatuzza: "Il tritolo delle stragi fu pescato in Sicilia"

La Dda di Firenze arresta un pescatore, cugino di un boss: "È stato lui a trovare l'esplosivo". Ma c'è una pista calabrese

L'ultima di Spatuzza: "Il tritolo delle stragi fu pescato in Sicilia"

E con 20 anni di ritardo il «pescatore di tritolo» finì impigliato nella rete della Dda di Firenze che indaga sulle stragi e la trattativa Stato-mafia. Il presunto rifornitore di esplosivo, arrestato con l'accusa di strage, devastazione e detenzione di esplosivi, è un 57enne palermitano di Santa Flavia asseritamente specializzato nel recupero a mare di grossi quantitativi di tritolo inesploso sotto forma di mine di profondità, siluri, bombe di cacciabombardieri, scorte colate a picco insieme a bastimenti militari. Il presunto «collettore di tritolo» si chiama Cosimo D'Amato, è il cugino del boss Cosimo Lo Nigro, e se oggi si ritrova in cella deve ringraziare il solito pentito Gaspare Spatuzza che lo indica come il sommozzatore della mafia che tirò su dagli abissi i candelotti poi consegnati al gruppo del boss Francesco Tagliavia, condannato nel 2011. Un lavoretto che gli veniva ben ricompensato, a detta del collaboratore, poiché era proficua la pesca esplosiva preferita a spigole e orate. Prima di Capaci e via d'Amelio, per dire (di Spatuzza) abboccavano 70-80 chilogrammi per volta, che venivano messi da parte per far saltare cristiani all'occorrenza, per un totale di quasi un quintale di tritolo. Spatuzza si ricorda di lui («Cosimino si chiamava») come il ragazzo che tirò su dalle cime di un peschereccio ormeggiato in banchina, alla luce del sole, l'esplosivo «che poi caricammo in macchina».
Alle parole di Spatuzza i magistrati portano come riscontri una intercettazione considerata affrettatamente sospetta essendo Cosimo un pescatore («ho una cassetta di pesce per te») vecchie sentenze di tribunale e perizie della Guardia costiera relative all'abbondanza di ordigni bellici nel mare antistante Palermo. Non le informative di polizia del '96 che accostavano i ritrovamenti nei fondali agli attentati di Chinnici e alle stragi successive. E nemmeno le note del commissariato di Termini Imerese, che facevano i nomi dei sub-bombaroli vicini al clan Graviano o e le rivelazioni dei pentiti Grigoli e Carra risalenti a 17 anni fa.

Se poi ci si sofferma sulle parole del procuratore Quattrocchi («È possibile che ci sia una qualche altra attività di corresponsabilità anche se con ruoli e mansioni diverse») allora ecco riemergere dagli abissi piste mai accantonate e che portano lontanissimo da Palermo e da Spatuzza. Per esempio in Calabria, dove la Dda locale è da sempre convinta che dalla nave «Laura Coselich», stracarica di tritolo (1.500 chili) e affondata con un siluro nel 1941 al largo di Saline Joniche, le cosche della 'ndrangheta, specie della famiglia Iamonte, avrebbero rifornito Cosa nostra anche per gli attentati di Palermo e in Continente. Il pentito Emanuele Di Natale, ad esempio, riferì che l'esplosivo che custodiva a Roma per gli attentati in via Fauro, Firenze e Milano, era arrivato dalla Calabria e che in alcune riunioni preparatorie degli attentati parteciparono anche boss delle 'ndrine del reggino.

Altri pentiti come Vincenzino Calcara e Carmine Alfieri confermarono che al supermarket calabrese attingeva la mafia siciliana e anche quella locale, come dimostrano i tre panetti trovati al Comune di Reggio, la bomba alla procura generale e agli ospedali di Siderno e Locri, per finire con l'arresto del boss «pescatore» Gaetano Evoli di Melito Porto Salvo.

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