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L'unica prova è l'accanimento: tutti i buchi neri della sentenza

Ecco tutti gli errori della condanna, dal reato fiscale che non c'è al ruolo in Mediaset. Eppure il leader di Fi rischia l'arresto: potrebbe essergli negato l'affidamento ai servizi sociali

L'unica prova è l'accanimento: tutti i buchi neri della sentenza

A lle spalle, un processo e una condanna i cui punti oscuri e controversi rimangono numerosi. Di fronte, una prospettiva che fino a poco fa sembrava inverosimile, e che invece si sta facendo palpabile: quella di vedersi rifiutare l'affidamento in prova ai servizi sociali, e ritrovarsi nel giro di una manciata di giorni, magari già prima di Pasqua, rinchiuso agli arresti domiciliari. È questo lo scenario in cui Silvio Berlusconi si trova a muoversi in questi giorni, e che avrà inevitabilmente i suoi riflessi sulla vita politica del paese, andandosi a incrociare in pieno con la campagna elettorale per le Europee.

I SERVIZI SOCIALI

Difficile capire come sia arrivato a ribaltarsi bruscamente il percorso che era sembrato quasi scontato. L'11 ottobre scorso, dopo il deposito delle motivazioni della sentenza che aveva reso definitiva la condanna a un anno di carcere per frode fiscale per il caso dei diritti tv, il Cavaliere d'intesa con i suoi legali aveva chiesto l'affidamento in prova ai servizi sociali: una misura alternativa sia al carcere che agli arresti domiciliari, che non prevede (a differenza di quanto si pensi in genere) di svolgere un lavoro socialmente utile ma unicamente di rendersi disponibile a verifiche periodiche sul proprio percorso «rieducativo». È una misura che viene concessa praticamente sempre in caso di pene da scontare inferiori ai tre anni, e nel caso che la pena (come nella sentenza Berlusconi) non superi l'anno di carcere non è richiesta neanche l'istruttoria da parte di consulenti e psicologi. Insomma, Berlusconi sembrava avviato a scontare la sua condanna con le poche limitazioni della libertà che l'affidamento comporta: non uscire di notte, non lasciare la Regione senza l'okay del magistrati, non incontrare pregiudicati, eccetera.

IL TRATTAMENTO «SPECIALE»

Che la pratica Berlusconi non fosse però destinata a venire trattata dal tribunale di sorveglianza di Milano come una pratica normale lo si era intuito già quando l'udienza era stata fissata ad una scadenza insolitamente ravvicinata: il 10 aprile, giovedì prossimo. Sei mesi di attesa tra ricorso e udienza possono sembrare tanti. In realtà, i tempi medi del tribunale di Milano per esaminare le pratiche dei «liberi sospesi» (come è chiamata in gergo giuridico la posizione dell'ex premier) sono assai più lunghi. Un anno, un anno e mezzo. Per esempio Daniele Lorenzano, ex manager Mediaset, condannato insieme a Berlusconi nella medesima sentenza, si era visto fissare l'udienza per l'affidamento in prova al 15 aprile 2015, e solo dopo che un articolo del Corriere della Sera ha segnalato la singolare differenza il tribunale si è precipitato ad anticiparla a giugno 2014. Ma i segnali si sono fatti ancora più espliciti nei giorni scorsi. Hanno cominciato le voci provenienti dalla Procura generale, che giovedì prossimo manderà in udienza il sostituto pg Antonio Lamanna, e che sarebbe intenzionata a chiedere il rigetto dell'istanza di affidamento. Motivazione: l'assenza totale di segnali di pentimento e neanche di «rivisitazione critica» da parte del condannato, che anzi nei mesi successivi alla sentenza ha proseguito le sue esternazioni contro i giudici; e soprattutto il fatto che alla condanna per i diritti ne sia seguita un'altra, assai più pesante (anche se per ora solo in primo grado) per il caso Ruby, e che attualmente il Cavaliere si trovi sotto processo a Napoli per voto di scambio. Insomma, la prova di quella «capacità a delinquere» che i pm milanesi attribuiscono da sempre a Berlusconi e che renderebbe impossibile concedere l'affidamento. E ora, stando ad altre e insistetti voci, questa tesi starebbe facendosi largo anche tra i giudici chiamati a decidere sull'istanza. La risposta non arriverà giovedì: il collegio presieduto dal giudice Pasquale Nobile de Santis si riserverà la decisione e la renderà nota con una ordinanza verosimilmente tra lunedì e martedì. Se l'affidamento verrà respinto, il tribunale potrà ordinare d'ufficio che scattino gli arresti domiciliari, e trasmetterà gli atti alla Procura perché scatti l'ordine di esecuzione. Ancora qualche giorno, e Berlusconi riceverà la visita di un ufficiale di polizia giudiziaria e da quel momento si ritroverà prigioniero ad Arcore. Potrà fare ricorso in Cassazione, ma intanto non potrà uscire, incontrare, telefonare.

IL VERDETTO CONTESTATO

A rendere oggettivamente clamorosa questa prospettiva, c'è anche il fatto che arriverebbe a conclusione di un percorso processuale ricco di passaggi tutt'altro che inattaccabili. L'intero processo sui diritti tv si basa su una serie di presunzioni che fino all'ultimo i difensori di Berlusconi hanno cercato di smontare, e anche dopo che la sentenza - la famosa sentenza spiegata il giorno stesso in una intervista dal giudice di Cassazione Antonio Esposito - ha continuato ad essere pesantemente criticata da giuristi non sospettabili di ossequio verso Berlusconi. E, dato ancora più rilevante, la stessa Procura generale di Milano, in un altro processo di grande rilievo, ha espresso tesi che se fossero state applicate a Berlusconi avrebbero portato alla sua assoluzione. Il tema, come è noto, è quello dei film americani da trasmettere sulle reti Mediaset che sarebbero stati pagati a prezzo gonfiato: consentendo così a Berlusconi di spartirsi il surplus col grossista americano Frank Agrama, considerato dai giudici suo socio occulto, e soprattutto di ridurre gli utili di Mediaset, evadendo così una parte di tasse.

IL REATO FISCALE

Se anche si ritenesse provato che negli anni Novanta il gruppo Mediaset abbia pagato i film da trasmettere in tv a prezzi gonfiati, resta il fatto - secondo i legali - che Mediaset quei costi, giusti o esosi che fossero, li ha effettivamente sostenuti. Quindi quando l'ammortamento dei costi è stato spalmato sui bilanci degli anni successivi non c'è stata alterazione dei conti e nemmeno risparmio fiscale. Nell'ottobre scorso, su «Guida al diritto» del Sole 24Ore, il docente universitario Antonio Iorio ha accusato la sentenza di Esposito di fare confusione tra fatture soggettivamente e oggettivamente inesistenti. Non essendoci alcuna prova che i soldi in più siano rientrati nella disponibilità di Mediaset, il costo è stato dunque realmente sostenuto, e non è fittizio, sostiene il professo Iorio. Dunque non c'è il reato di frode fiscale. Più complicata sarebbe stata la posizione processuale di Berlusconi se avesse dovuto rispondere anche di appropriazione indebita ai danni di Mediaset, come aveva inizialmente chiesto e ottenuto il pubblico ministero Fabio De Pasquale. Ma questo capo d'accusa si è prescritto strada facendo.

LE SOCIETÀ DI MEDIAZIONE

Sempre sul Sole24 Ore, nell'ottobre scorso, un altro cattedratico, Enrico Marzaduri, aveva demolito la sentenza della Cassazione sul punto chiave dei rapporti tra Berlusconi e Agrama. La Cassazione, sostiene Marzaduri, non ha neanche esaminato gli elementi contenuti nel ricorso dei legali del Cavaliere, che puntavano a dimostrare che Agrama non è una «testa di legno» di Berlusconi ma è effettivamente stato uno dei principali mediatori mondiali di diritti tv. Marzaduri ha parlato di una «presunzione di responsabilità» cui la Cassazione sarebbe arrivata sulla base di un ragionamento che «pare più espressione di un nuovo vaglio di merito che una verifica di fondatezza di censure mosse dalla Corte territoriale».

AGRAMA E LE CARTE SVIZZERE

Oltretutto, sia prima che dopo la sentenza, elementi che dimostravano il vero ruolo di mediatore svolto da Agrama sono emersi davanti ala magistratura svizzera. La difesa d'altronde ha sempre obiettato che i ricarichi di Agrama erano quelli di mercato; e che in aula la stessa consulente dell'accusa, Gabriella Chersicla di Kpmg, ha spiegato ai giudici di non avere mai trovato prove dei bonifici con cui Agrama e Berlusconi si sarebbero suddivisi la «cresta». «Ha mai visto un suo versamento da parte del gruppo Wiltshire quindi dei conti bancari di queste società a favore del presidente Silvio Berlusconi e i suoi familiari?». Risposta: «No».

IL RUOLO OPERATIVO

In ogni caso, sostengono i legali di Berlusconi, la macchina da guerra dell'accusa si intoppa su un dettaglio insormontabile: il ruolo diretto di Berlusconi nel programmare e commissionare il sistema di pompaggio dei prezzi. A questo tema la sentenza della Corte d'appello dedica soprattutto un ragionamento logico: a gestire il sistema erano solo dirigenti chiave di Mediaset «vicini, tanto da frequentarlo tutti personalmente, al sostanziale proprietario, rimasto certamente tale in tutti quegli anni, l'odierno imputato, Silvio Berlusconi».

LA PROVA LOGICA SMENTITA

È questa sorta di prova logica che porta i giudici a ritenere provato che Berlusconi si rendesse conto di quanto accadeva, e ne sia pertanto responsabile. Peccato che il 25 marzo scorso, proprio nella stessa aula che vide la condanna-bis di Berlusconi per la vicenda dei diritti tv, il sostituto procuratore generale Gaetano Santamaria, chiedendo l'assoluzione degli stilisti Dolce e Gabbana, abbia svolto un ragionamento che sembrerebbe adatto anche a Berlusconi: essere il proprietario di una azienda, e il beneficiario dei suoi utili, non vuol dire essere penalmente responsabile di quanto viene scritto nella denuncia dei redditi, a meno che non venga dimostrato un intervento diretto nella sua stesura.

Eppure, per Berlusconi si prepara l'arresto.

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