Politica

La marcia dei 60mila: il partito che non c'è

Chi lavora e a stento sopravvive non ha molto tempo per andare in piazza, ma ha l'obbligo di farsi ascoltare

Già prima dell'orario di convocazione, Piazza del Popolo si è riempita di manifestanti
Già prima dell'orario di convocazione, Piazza del Popolo si è riempita di manifestanti

Ieri, con successo, ha manifestato il partito che non c'è. I suoi iscritti, invece, ci sono. Eccome. Si è visto dalla piazza, gremita oltre le attese. E ad esserci è anche un programma così sintetizzabile: fateci lavorare e creare ricchezza. Purtroppo ciò che manca sono i suoi rappresentanti in Parlamento. Andiamo con ordine.

1. Il Palazzo si è completamente «scollato» dai mercati, intesi come ortofrutticoli. In parte per una legge elettorale che rende meno necessario il rapporto diretto con gli elettori. In parte, come si sarebbe detto un tempo, per l'imborghesimento della classe politica. Ci spieghiamo meglio: si tratta di un club di nominati in cui l'interesse al rapporto privilegiato con il leader di partito è di gran lunga superiore a quello con una sua eventuale base elettorale. Vi è molto più beneficio nel coltivare il primo, per il proprio successo professionale (la riconferma in Parlamento), di quanto sia costruire un consenso diffuso.
2. Il centrodestra che, un tempo, si faceva vanto di rappresentare le partite Iva ha perso una buona fetta della sua credibilità in questa sacrosanta battaglia. Oggi ripete ossessivamente in tutti i talk show la propria disponibilità verso questo elettorato, ma non basta per cambiare le cose. È sufficiente frequentare artigiani e commercianti per capire come il loro voto al centrodestra (quando ancora concesso) lo sia solo per differenza, per difesa. Senza alcuna convinzione. Il centrodestra si è burocratizzato, allontanato: non è più in sintonia con il popolo delle partita Iva. Oggi a parlare di abbassamento dell'Irap, o addirittura di sua cancellazione, sono buoni tutti.
3. È necessario avere il coraggio di dire che la corazzata Potëmkin è una boiata pazzesca. L'Italia paese più corrotto d'Europa, l'Italia patria dell'evasione fiscale, l'Italia delle stragi sul lavoro sono boiate pazzesche. Principi generali e sacrosanti (lotta all'evasione, sicurezza e onestà) dietro ai quali sono stati costruiti venti anni di mostri giuridici e normativi che ammazzano (per davvero, non solo figurativamente) le piccole e medie imprese in Italia. Non c'è artigiano o commerciante che possa sopportare il vicino evasore che gli faccia concorrenza sleale. Ma non c'è, al contempo, commerciante o artigiano che possa sopportare uno Stato che a prescindere (come è ormai prassi da anni) lo consideri un delinquente fiscale. Grazie a questi nobili principi trattiamo i rifiuti di un'estetista come quelli di un'industria petrolchimica. Grazie alla difesa della sicurezza sul lavoro, abbiamo inventato tante e tali norme, controlli e multe, che ad essere insicuri sono diventati i posti di lavoro.
4. Infine le responsabilità degli uomini del partito che non c'è. Non so se la «carrozzina» burocratica che hanno messo in piedi (Rete imprese Italia) sia indispensabile. Quel che è certo è che devono, come hanno fatto ieri, marciare uniti. Chi lavora e a stento sopravvive non ha molto tempo per andare in piazza, figurarsi fare una rivoluzione. Ma un obbligo ce l'ha: quello di alzare la voce. Gli invisibili non possono morire in silenzio. Debbono trovare i modi e gli strumenti per farsi sentire sempre più rumorosamente.

Devono perdere quella patina democristiana che ha rappresentato un vestito comodo negli anni della crescita, ma che oggi è pieno di toppe.

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