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Masiello e quegli infami per cui non c’è perdono

Masiello e quegli infami per cui non c’è perdono

diIl terzino - che fa un autogol ben remunerato alla sua squadra (durante un derby!) e poi si rotola a terra fingendosi disperato - è certamente un infame. Peggio: come si sarebbe detto una volta, «un traditore». Il termine «infame» è stato mutuato dalla criminalità, e reso celebre dalle Brigate rosse, che bollarono in tal guisa il primo e a loro più dannoso traditore della lotta armata al cuore dello Stato, Patrizio Peci: Io, l’infame, si intitola infatti il suo libro autobiografico. «Infame, ti impiccheremo con le tue budella!», gli gridavano gli ex compagni ogni volta che comparivano insieme nell’aula di un tribunale. C’è da giurare che gli ex tifosi del terzino gli griderebbero la stessa cosa, a meno che non siano così caratterialmente amabili (del che dubito) e linguisticamente duttili da ideare un’opportuna variante calcistica: ti impiccheremo con le tue stringhe! Il tradimento è infatti il crimine più grave durante le guerre, e dunque anche in quella metafora della guerra che è una partita di calcio. Si difendono, nella rete oltre i tre pali di legno, la Patria e la Madre: venderla, lasciandola violare al nemico, è il delitto più spregevole che un tifoso possa concepire. Del resto anche chi non tifa è assai poco propenso a perdonare il traditore. Prendete padre Dante. A chi riserba il posto più scomodo - a suo parere - dell’Inferno? A tre infami, Giuda, Bruto e Cassio, ognuno maciullato per l’eternità nelle tre bocche di Lucifero in persona (è lecito pensare che gran parte del castigo consistesse nel sopportarne l’alito). Ma, a stemperare il dramma del tradimento, sarà bene osservare che, se ben ci ricordiamo chi tradirono Giuda e Bruto, si può mettere un montepremi a chi azzecca, oggi, la risposta su Cassio (la soluzione è in fondo all’articolo*). Se i traditori continuano giustamente a suscitare sdegno, i loro tradimenti vengono spesso, e per fortuna, lavati dalla storia e dal tempo. Al massimo cade una specie di veto sui nomi dei traditori. Che dire di Gano, per esempio? Una volta, molti secoli fa, era uno dei nomi di battesimo più diffusi in Occidente, come oggi Mario. Poi l’autore della Chanson de Roland assegnò a Gano di Magonza il ruolo di traditore del figliastro Orlando e della patria, nella guerra contro i saraceni. E nessuno, da allora, chiama più un figlio Gano. Ci avevo pensato io, per la verità, Gano Guerri è un gran bel nome, poi non me la sono sentita di appioppare al mio bambino questo peso. Ai traditori, insomma, non si perdona. Tantomeno a quelli calcistici. Si può ancora discutere se a «tradire di più» fu Mussolini, o Vittorio Emanuele III, o Badoglio. Si possono anche accettare disquisizioni teologiche/perdotempistiche sulla necessità (e quindi innocenza) di Giuda, perché altrimenti Gesù non si sarebbe potuto immolare. Ma per i calciatori non c’è scampo. Guardate su Internet. Guglando, «i grandi traditori della storia del calcio» viene subito prima di «i maschi grandi traditori». Sul perché ciò avvenga, lo scoprano i sociologi. Io mi ritiro, vergognoso per il tradimento della lingua italiana perpetrato con quel guglando.
(*Cassio fu complice di Bruto nell’uccisione di Cesare).
www.

giordanobrunoguerri.it

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