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Matteo scarica Letta: "Dieci mesi buttati, riforme o ci cacciano"

Imposta alla direzione l'asse col Cav sulla legge elettorale. Il premier diserta: "Sul mio lavoro ho un giudizio diverso". Poi il vertice tra i due

Matteo scarica Letta: "Dieci mesi buttati, riforme o ci cacciano"

«Il governo Letta è al minimo storico di gradimento, e la cosa non mi fa piacere: mi terrorizza». Matteo Renzi è spietato con il premier e il suo operato, e nella prima direzione Pd post primarie mette le carte in tavola: è pronto ad aiutare il governo a «risalire la china», ma il governo (e la minoranza Pd) non devono impedire di «cogliere un'occasione storica per cambiare la politica», facendo una riforma elettorale drasticamente maggioritaria e avviando le riforme costituzionali. Con chi? Renzi non ha alcuna intenzione di cedere alla rumorosa fronda bersanian-lettian-franceschiniana che gli intima di sedersi al tavolo con Alfano: «Alfano - ricorda loro sarcastico - alle prossime elezioni starà con Berlusconi, e senza sfidarlo o criticarlo. È legittimo. Ma scordatevi che Alfano sia, come qualcuno qui sembra pensare, uno di noi». E dunque la riforma elettorale si fa con chi (leggi Berlusconi) può condividere una scelta nettamente maggioritaria, che è quella che lunedì (dopo un probabile incontro con Berlusconi, forse sabato, non si sa ancora se a Roma o a Firenze) il segretario chiederà alla Direzione di votare, «perché questa, e non altra, è la sede decisionale del Pd». Respinta al mittente la richiesta della minoranza di rimettere la scelta ai gruppi parlamentari, dove la fronda è più forte: in direzione il segretario ha una forte maggioranza, «anche senza Franceschini», dicono i suoi. E la sua relazione viene approvata con 150 sì e 35 astenuti.
Renzi ha deciso di «rischiare il tutto per tutto», perché «senza questa svolta il Pd muore», e alle prossime Europee va incontro al disastro: «O riusciamo a fare le riforme, dopo 10 mesi di fallimenti, o verremo spazzati via tutti». Nel Pd la minoranza filo-governo ribolle e mette sul piatto una minaccia esplicita contro il segretario: o ti schieri per il rilancio del governo (facendo quindi la legge elettorale che piace ad Alfano, e scordandoti l'accordo con Berlusconi), oppure si va al voto con il proporzionale. «E al governo ci tornano Letta e Alfano, perché col 30% Renzi non va da nessuna parte», chiosa un fedelissimo del premier. La esplicita Stefano Fassina: Renzi deve dire se ci sono o no «le condizioni per un governo di svolta», ossia un Letta bis con il «coinvolgimento diretto» dei renziani. Oppure «andiamo ad elezioni, perché nessuno può permettersi il logoramento». La pistola è sul tavolo. Il segretarioe, avendo ben chiaro cosa si agita nella pancia degli sconfitti Pd, li sfida apertamente, bollando come «stravaganti e surreali» le polemiche contro un'intesa con Berlusconi. E avvertendo: se qualcuno nel Pd «pensa di giocare sulla pelle degli italiani» e di cucinare «intrighi» approfittando del voto segreto per affossare la sua riforma, sappia che «si assumerà la responsabilità di un gesto che per primo il nostro popolo non accetterà». Se i franchi tiratori colpiranno, salterà il governo Letta e sarà Renzi stesso a chiedere di andare subito al voto. «L'accordo tra Renzi e Berlusconi è fatto. Bisogna vedere però se e in che tempi può essere approvato dal Parlamento», dice il lettiano Vaccaro.
Il premier, che ha partecipato a tutte le ultime direzioni Pd, diserta proprio questa, la prima dell'era Renzi. E a sera fa uscire una nota, per dire che è «d'accordo» con il segretario «sulla necessità di un nuovo inizio dell'azione di governo, e conto di arrivare in breve ad un risultato positivo», mentre respinge le dure critiche: «ho un giudizio diverso su questi nove mesi di lavoro». Replica (feroce) di Renzi: «Il giudizio su questi nove mesi lo ho chiaro. È quello che si sente non nei mercati internazionali, ma in quelli rionali».

Così, alla fine, ecco il vertice improvviso e blindatissimo per chiarire le posizioni, con la raccomandazione del Colle al premier perché si evitino contrapposizioni e perché Letta tenti un'ultima mediazione nella maggioranza.

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