Cronache

"Le mie ultime ore con Silvia uccisa e messa nel freezer"

Claudia Rocchini è stata forse l'ultima a vedere la commercialista assassinata a Bologna. E racconta: "Era una donna solare, ma ora aveva paura del fidanzato"

Silvia Caramazza
Silvia Caramazza

È caccia serrata all'assassino di Silvia Caramazza, la commercialista di 39 anni trovata morta a Bologna con il cranio fracassato e il corpo chiuso in un sacco all'interno di un congelatore, situato in un appartamento di Viale Aldini, a Bologna, dove viveva. Nei giorni scorsi era stato ascoltato il compagno della donna, un imprenditore di 34 anni, e proprio dal suo racconto confuso e contraddittorio erano nati i primi sospetti. Tanto che la polizia l'altro ieri aveva deciso di andare controllare l'abitazione della commercialista. Qui, l'orrore. Ora del compagno si sono perse le tracce. A denunciare la scomparsa della donna, nei giorni scorsi, erano state due sue amiche.

Al Tg delle 8 vedo le notizie sulla morte di una donna a Bologna - colpita in testa e chiusa nel congelatore - e penso, temo, che diventerà «Il delitto dell'estate 2013». Proprio in quel momento, ora insolita, suona il telefono. È Claudia Rocchini, mia antica collaboratrice, oggi fotogiornalista. Qualcuno la ricorderà per uno scherzaccio che giocò una quindicina di anni fa a Michele Serra, allora direttore di Cuore. Gli fece trovare un falso appunto di Gianfranco Miglio, allora ideologo della Lega, in cui lo studioso progettava atti eversivi. L'ottimo Serra, allora meno riflessivo di oggi, ci cascò senza controllare, e pubblicò lo «scoop» a tutta prima pagina. Rocchini, appostata fuori dalla tipografia, appena vide Cuore stampato raccontò la beffa a Vittorio Feltri, che fece sbellicare i lettori. Altri tempi, rispetto alla faccenda che Claudia mi racconta oggi, piena di amarezza per quel che legge sui giornali a proposito della sua molto cara amica Silvia Caramazza, commercialista di Bologna: è lei la morta ammazzata e infilata in un congelatore. Sì dà la caccia al fidanzato, imprenditore edile. Silvia e Claudia si erano conosciute anni fa tramite i rispettivi blog: «Silvia, non più di tre settimane fa, era stata ospite a casa mia, a Pavia, per qualche giorno. Voleva allontanarsi per un po' da Bologna: “Shopping selvaggio, intervallato da pranzi e cene nelle trattorie sul Ticino, ti va?”. E certo che mi andava...». Solo shopping, pranzi e cene? Claudia non abbocca: «Non parlerò dei giorni in cui è stata qua: sono oggetto di indagini. Dirò solo che avevo ricevuto un sms la sera del suo rientro a Bologna: “Sono arrivata, tutto ok. Baci”, poi più nulla fino a qualche giorno dopo, quando è apparso uno strano status sulla sua bacheca di Facebook: comunicava di volersi sposare e che sarebbe sparita per una lunga vacanza staccando i cellulari, privati e di lavoro. Tutto ciò mi impensierì, e le chiesi una spiegazione scritta, in privato».

E che rispose?
«Niente di convincente. Tralasciando dei particolari di cui non posso e non voglio parlare al momento, era stato soprattutto il suo italiano, approssimativo e assai sgrammaticato, a impensierirmi. O senz'acca, po' con l'accento, abbreviazioni da sms, le k al posto delle c, punteggiatura sui generis... Silvia era una maniaca della lingua italiana. Ho chiesto se fosse proprio lei alla tastiera ma la risposta, che voleva essere rassicurante, mi ha allarmata ancora di più: altri errori e strafalcioni. Poi ho pensato che in quel momento forse non era sola, che sono sempre troppo apprensiva, e che nei giorni successivi avrei ricevuto una telefonata chiarificatrice. Che invece, ahimè, non è mai giunta. Invece la sera del 26 giugno si presentano a casa mia due poliziotti in borghese, invitandomi a seguirli in questura perché era stata fatta una denuncia di scomparsa di Silvia Caramazza e, dai primi accertamenti, sembrava che io fossi se non l'ultima, una delle ultime persone ad averla vista, ormai tre settimane prima. Per quel che ne sapevo, qualsiasi opzione poteva essere valida: ogni tanto spariva, ma si preoccupava di rassicurare chiunque la contattasse nel frattempo».

Ma il fidanzato, lo conoscevi?
«No, mai visto».

Non te ne parlava?
«Poco».

Strano.
«No, perché?».

Come hai saputo che era morta?
«Controllavo in Rete se fossero uscite notizie di Silvia. Nulla fino alla sera tardi del 27 giugno, quando ho letto del ritrovamento del suo cadavere. Inizialmente, poche righe di agenzia, poi aggiornamenti continui ricchi di dettagli macabri, conditi dalle solite immagini di rito: il corpo sulla barella, avvolto in un lenzuolo e portato fuori dalla casa. Ieri, ulteriori aggiornamenti intrisi di sensazionalismo, di interviste al citofono fatte a vicini di casa, dichiarazioni tipo: “Sembrava una con la testa un po' per aria”, “trovati farmaci e sonniferi”, e poi l'inevitabile profilo della vittima: “Ecco chi era Silvia Caramazza, figlia del noto ginecologo Giuliano Caramazza, una laurea in Economia, studi privati alle spalle e una vita agiata, turbata però dal “male oscuro”, la depressione. Aveva da poco ritrovato il sorriso, grazie al nuovo fidanzato”».

Insomma, ce l'hai con i colleghi giornalisti.
«È una distorsione mediatica fatta di mezze verità, informazioni sommarie, poche o scarse verifiche dell'attendibilità delle fonti e dei reali rapporti con Silvia... La solita deformazione dell'informazione improntata sul sensazionalismo. Non si può tollerare che la vittima di una simile efferatezza venga ulteriormente sfregiata dall'approccio superficiale, irrispettoso e voyeuristico teso alla ricerca di un qualunque dettaglio utile a fare di questa tragedia il drammone dell'estate. Non si può più tollerare l'ennesimo plastico della casa del delitto...».

Bisognerà pure cercare il colpevole, soprattutto. Ma diccelo tu chi era Silvia Caramazza.
«Silvia era una bella donna, e teneva moltissimo al suo aspetto. Te lo dimostrano le fotografie fatte da me quattro anni fa per un servizio sulla mia rivista, sul tema dell'approccio psicologico al ritratto: è stata una mia modella per caso, la classica amica carina un po' ingessata ai primi scatti e a cui, man mano che prendeva confidenza con la reflex, veniva persino naturale posare in modo un filo malizioso. Però era ingrassata di quasi cinquanta chili negli ultimi mesi, e diononvoglia che escano sue fotografie».

Usciranno sì. Cinquanta chili! E tu non ti sei mai chiesta perché?
«Lei lo attribuiva ad un'eccessiva assunzione di farmaci e tranquillanti. Nell'arco di pochissimi anni ha perso di seguito mamma e papà per due lunghe e devastanti malattie, di quelle che ti costringono a un'assistenza continua, a star sveglia notti dopo notti, in situazioni che umanamente metterebbero alla prova i nervi e la stabilità emotiva di qualsiasi figlio degno di questo nome».

Insomma, non sbaglia chi dice che era depressa.
«No, ma vogliamo cercare di capirne i motivi? Allora diciamo anche che era divorziata e che da un paio di anni conviveva con un uomo, lo stesso che ora è ricercato come principale indiziato e su cui “pendono importanti responsabilità ma ancora tutte da verificare”, come mi ha detto un funzionario della questura».

Basta, Claudia, dimmi di più. (È facile ritrovare l'antica autorità con qualcuno a cui si sono corretti gli articoli, per insegnare il lavoro, ndr).
«Quando era da me, Silvia mi disse che voleva lasciarlo, chiedere a un avvocato il modo per mettersi al sicuro, che lui la tormentava con la gelosia. Infatti la chiamava di continuo, qui da me, e le aveva fatto una scenata tremenda la sera prima che venisse qui per tre giorni… Poi ha chiamato anche me… ma non ti posso dire di più. A parte tutto, oltre allo strazio, al dolore, all'incredulità, allo stordimento di trovarmi immersa in situazioni di cui, fino ad ora, mi sono occupata solo a livello professionale, c'è anche la paura di sapere che c'è un assassino a piede libero, che io risulto essere una delle ultime persone che ha visto Silvia, e il pensiero corre a quello scambio avuto su Facebook: chiunque fosse, non era lei».

Perché l'avrebbero uccisa?
«Silvia riusciva ad essere una donna allegra, solare sempre sorridente anche se dentro si sentiva da cani, ma così era stata educata. Silvia era una maniaca dello shopping, si presentava da me, di sorpresa, con due biglietti per un weekend a Parigi: “Andiamo a far shopping?”, come se fosse la cosa più naturale di questo mondo. Era sempre disponibile, attenta ed avvolgente col suo stravagante modo di fare, in apparenza. Per finire... Silvia voleva un figlio. Anni fa, in un periodo non sospetto, mi aveva chiesto la disponibilità a nominarmi tutore del bambino nel caso in cui le fosse successo qualcosa. Ecco chi era Silvia. E me l'hanno ammazzata».

Claudia, ce l'hai un alibi?
«Cosa».

Dove eri quando è morta?
«Ma non si sa neppure quando è morta… L'alibi? Non ci ho neppure pensato! Stai scherzando?».

Scherzavamo spesso, Claudia e io, prima di questa storia.

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