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La minoranza Pd vuole la segreteria

La fronda contesta il doppio incarico segretario-premier. E Renzi vuole affidare l'incarico a un reggente suo fedelissimo

La minoranza Pd vuole la segreteria

Roma - Quel che in tutte le più solide democrazie è regola aurea, per i Democrat italiani diventa una scandalosa «anomalia». E così la minoranza del Pd è sul piede di guerra contro il «doppio incarico» del presidente del Consiglio Renzi, che intende restare anche segretario del suo partito. La questione l'ha posta pubblicamente Gianni Cuperlo, che se ne farà portavoce nella prima Direzione che Renzi convocherà, ma già l'aveva sollevata col consueto piglio brusco Ugo Sposetti, e in privato anche Massimo D'Alema ha affrontato l'argomento con il leader. Facendogli capire che, se lui sta a palazzo Chigi, non può pensare di «tenere ancora in mano le redini del partito». E, sottinteso, della formazione delle liste elettorali, principale posta in palio nella partita. Ragion per cui Walter Veltroni, ossia il leader che fece scrivere nello Statuto Pd che il segretario è il naturale candidato alla premiership, confida di aver «ossessionato» Renzi in questi giorni sulla necessità di mantenere il controllo pieno della baracca Pd.
Quelle redini però Renzi non ha alcuna intenzione di mollarle, anzi negli ultimi giorni - nonostante fosse alle prese col rebus del governo - ha dato mandato ai suoi di lavorare ad una «squadra forte» che sia interfaccia del suo esecutivo dal Nazareno, recuperando tutte le energie migliori del «renzismo» della prima ora. La sua idea è di nominare un reggente di sua piena fiducia, nella persona del silenzioso ed abile Lorenzo Guerini, ma di allargare nel frattempo la segreteria coinvolgendo la minoranza. Del resto due caselle si sono liberate con la promozione di Boschi e Madia al governo. E la scelta dei ministri (e ancor più quella dei sottosegretari) servirà ad accontentare le diverse correnti, e a rafforzare il segretario anche nella base parlamentare, nella quale i renziani sono sulla carta in minoranza. C'è poi la carica di presidente, abbandonata da Cuperlo, ancora da riempire, e c'è chi assicura che Renzi voglia ancora offrirla a Bersani.

Sull'Aventino restano invece i lettiani, assenti dal governo e dagli organigrammi di partito. «Enrico è l'unico che ha volontariamente rottamato la sua corrente, a differenza dagli altri», dice un amico del premier uscente come Francesco Boccia. «Abbiamo subíto la decisione della Direzione che ha sfiduciato Letta e nominato un nuovo premier, ma siamo persone serie, facciamo parte di un partito e quindi voteremo senza discussione la fiducia». Boccia però è stato il primo a chiedere che di Direzione ne venga convocata quanto prima un'altra, «perché vorremmo poter conoscere e discutere le linee programmatiche di questo nuovo esecutivo». Lo stesso Enrico Letta, dopo il gelido scambio di consegne con Renzi a palazzo Chigi, ha fatto smentire dal suo staff la voce secondo cui non sarebbe stato a Roma nel giorno in cui il Parlamento voterà la fiducia al nuovo esecutivo: «Ci sarà e la voterà». Qualche no potrebbe invece arrivare dalla sinistra Pd. Al Senato sarebbero orientati a non votare per il governo Renzi l'ex pm Felice Casson e Walter Tocci (entrambi non sarebbero comunque ricandidati, visto il numero di legislature fatte) e Mario Tronti.

Quanto al bellicoso Pippo Civati, ieri spiegava ai compagni di gruppo che martedì la fiducia la voterà, perché «non voglio farmi cacciare dal partito», o almeno non prima di vedere se si concretizza il suo progetto di creare un nuovo gruppo con Sel e transfughi grillini.

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