Brasile 2014

Via al mondiale bello di notte E il tifo spazza via sprechi e proteste

Il calcio d'inizio lascerà nel tunnel sprechi e proteste. Gli azzurri snobbati in casa, sono temuti dalle rivali

Via al mondiale bello di notte E il tifo spazza via sprechi e proteste

Il mondo è tutto nel tunnel degli spogliatoi dello stadio di San Paolo. Meno uno, ci siamo. Domani comincia il Mondiale più Mondiale di tutti. E di sempre. Perché è inutile che si provi a relativizzare e a razionalizzare, inutile pure provare a minimizzare, come fa chi spalleggia le proteste di piazza: la coppa del Mondo di calcio in Brasile è il calcio che sublima se stesso, che torna nella casa in cui non è nato, ma in cui è cresciuto. Si comincia come sempre, con lo scetticismo che da domani si trasformerà in entusiasmo. Provate ad andare in giro in questi giorni e a chiedere ad amici, colleghi, conoscenti vari: faranno i freddi, i distaccati, i benaltristi. Certo che c'è ben altro a cui pensare, lo sappiamo bene. Però tutti quegli amici, quei colleghi e quei conoscenti vari da domani saranno gli stessi che vi parleranno del modulo del Brasile e delle scelte tattiche del Belgio. Da sabato poi tocca all'Italia e allora nulla sarà come nei tre anni precedenti e si ritornerà invece a quattro anni fa, cioè all'altro Mondiale, alle sofferenze o alle gioie, ai volti dipinti di bianco-rosso-verde, alle fughe dagli uffici per andare a vedere la partita delle 18 e alle serate a casa di qualcuno per vedere quelle di mezzanotte o quelle delle 21 o delle 22.
Lo scetticismo? Finito. Chiuso nel cassetto dal quale molti avranno tirato fuori una bandiera o una maglia azzurra. Perché così siamo noi: un Paese di criticoni a prescindere che si riprendono la loro dimensione bambina in un minuto e anche meno. Si esaltano, si travestono, sono pronti a smentire tutto ciò in cui hanno creduto fino al giorno prima se c'è da giocarsi una coppa del Mondo. Viva l'Italia, anche quest'Italia. Perché il bello del Mondiale è che rivela chi siamo meglio di uno studio sociologico.
Il gioco più in voga in questi giorni è quello del «dove arriviamo». Vanno molto forte i cauti, o addirittura pessimisti: quelli che «usciamo al primo turno». Più di questi ci sono soltanto i teorici dell'uscita agli ottavi di finale. Poi a scendere, gli altri: quelli che pronosticano i quarti, quelli che credono alla semifinale, quelli che teorizzano la finale. Al netto della scaramanzia e della voglia di dire «io l'avevo detto», c'è un Paese che sogna di vincere. Perché è giusto e perché in fondo l'ultimo Mondiale l'abbiamo vinto otto anni fa e partivamo peggio di ora. E poi due anni fa siamo arrivati secondi agli Europei.
Il gioco del pronostico è perverso e facile: farà felici coloro che potranno dire di avere ragione se usciremo presto. Ma quegli stessi saranno contenti di essere smentiti: non c'è nulla più di una vittoria e di un cammino in avanti al Mondiale che cancella i commenti preventivi, le analisi sballate, i pregiudizi. Allora adesso è tutto un fritto misto di chiacchiere sugli esclusi, su chi deve o non deve giocare, su Balotelli o Immobile, su Cassano o Insigne. Sapete che c'è: chissenefrega. Scelga Prandelli, è l'unico che sa. Chiunque vada in campo sarà lo stesso. Perché questo è un campionato che dura un mese, si gioca anche a 40 gradi con l'umidità al 95%: giocherà chi starà meglio. Guardiamo e godiamo, come sempre. Perché il Mondiale è una meraviglia, è oggi la scoperta di cose che non conosci, di Paesi di cui senti parlare una volta ogni quattro anni, di storie che non sentirai mai più.
L'Italia che non può vincere è un ritornello che abbiamo sentito anche negli anni in cui abbiamo vinto. Provate a chiedere agli inglesi se hanno o no paura di noi. Diranno sì. Provate a chiederlo agli uruguaiani: idem. E poi agli altri, ai potenziali vincitori, ai favoriti: Brasile, Germania, Argentina, Spagna. Tutti, senza esclusione alcuna, avranno messo noi tra gli avversari di cui preoccuparsi. Il motivo è semplice: quella coppa l'abbiamo vinta quattro volte. Nella storia e nel pianeta solo il Brasile ci è davanti, gli altri ci guardano con deferenza e rispetto. Ciò che a volte noi non abbiamo per noi stessi ci viene riconosciuto dagli altri. Prendiamolo e portiamocelo dentro, sapendo che sì se passeremo il primo turno ci potrebbe toccare la Spagna o il Brasile. E che lo stesso potrebbe accaderci nei quarti di finale. Prima o poi toccano quelle forti. Ma che gusto sarebbe quell'ipotetico giorno di Brasile-Italia o di Spagna-Italia? Le strade deserte, le città chiuse ovunque tranne nelle piazze coi maxischermi. Tutto quello che ciascuno di noi sa, che ciascuno di noi ha vissuto.
C'è una parte dell'Italia che se ne frega. Ci viene da dire: peccato. Sapendo che poi sarà travolta da quell'onda emotiva che volo Mondiale sa scatenare. Prendiamolo come un impegno: a chiunque di noi tocca sopportare un amico o un parente che snobba il Mondiale salvo poi esaltarsi in caso di vittorie. È un male necessario, fa parte del pacchetto, come una partita che non puoi non vedere.
Sarà un mese vissuto di notte, il prossimo. Sarà di quelli con le case illuminate dai televisori, dai collegamenti ora per ora, di finestre sulla spiaggia di Copacabana e di chiacchiere nei salotti televisivi italiani. Perché un Mondiale dev'essere così, per forza. È il motivo per cui ci piace: una dose continua di calcio e del suo contorno. Pazienza per chi non lo ama: avrà tanti canali sui quali sfogare il proprio disinteresse per l'appuntamento più importante che la storia dello sport e degli eventi televisivi ricordi. Sarà il primo Mondiale davvero social, in cui le partite oltre a vederle saranno commentate su Facebook, Twitter e gli altri social media.
Sarà un Mondiale di immagini forti. Sul campo e fuori, perché sì, lo sappiamo delle proteste che spaccano il Brasile, delle polemiche sui costi eccessivi per l'organizzazione. Quattordici miliardi di dollari è una cifra mai toccata prima. Germania 2006 finora aveva il record della spesa organizzativa, ma s'era fermata a 6 miliardi. Qui siamo a più del doppio in un Paese che vive a metà tra sviluppo inarrestabile e povertà. Si racconterà anche di questo, si vedrà anche questo. Poi però il campo, perché la magia del pallone in fondo è questa: si comincia e si finisce su un prato con migliaia di spettatori attorno e il mondo sul davanzale televisivo a guardare. È qualcosa che vale sempre la pena di giocare. Noi lo sappiamo. L'Italia è uno strano Paese, sempre in bilico politicamente, socialmente, calcisticamente. Arriva zoppo, però può arrivare ovunque. Al Mondiale che comincia non ci si tira indietro per nessun motivo. Anche perché non è detto che vinca sempre il migliore.

segue a pagina 28

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