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Monti fischiato dalle famiglie Squinzi: «Moriamo di tasse»

Monti fischiato dalle famiglie Squinzi: «Moriamo di tasse»

È stato un sabato diverso per Mario Monti. Il premier ha assaporato per la terza volta dalla sua cooptazione a Palazzo Chigi il gusto un po' acido dei fischi che lo hanno accolto al suo arrivo al Festival della Famiglia a Riva del Garda. Altrettanto sicuramente sono giunte alle sue orecchie le proteste dei manifestanti fuori dal centro congressi trentino (così come non sarà rimasto indifferente al «No-Monti Day» romano). Ma l'invettiva più forte (che chiude un circuito di malcontento universalmente diffuso) è quella del presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi, che ha nuovamente bocciato la politica economica di Monti & C. «Le nostre aziende stanno morendo di fisco», ha tuonato.
Gli eventi sono correlati tra loro. Se le prime due contestazioni pubbliche a Monti erano giunte dai terremotati dall'Emilia e dai leghisti bergamaschi, quelle di ieri sono rappresentative di una platea più numerosa come quella dei rappresentanti delle famiglie. Alcune hanno addirittura abbandonato la sala in polemica contro le manovre tutte tasse. «In passato si è promesso troppo senza saper mantenere», si è difeso il premier, sbandierando l'arrivo di 50 milioni per le famiglie e di 25 milioni per i giovani. Contentino tardivo, ma che ha allentato la tensione.
Tensione che invece era molto alta in quel di Capri dove il presidente di Confindustria ha concluso la due giorni dei Giovani imprenditori rivolgendo un ultimo caveat a Palazzo Chigi. «Bisognerebbe fare una spending review molto più decisa e tutti i fondi che si liberano dovrebbero essere destinati alla riduzione del cuneo fiscale per i lavoratori, le imprese, i cittadini», ha detto Squinzi. Si tratta di un altro appello (forse l'ultimo) verso un governo che «non sta facendo tutto quello che sarebbe necessario per fare il salto di qualità».
E, poco prima di Silvio Berlusconi, è stato il numero uno di Viale dell'Astronomia a sostenere che un'eventuale Monti-bis avrebbe bisogno di «una legittimazione politica». Ma sicuramente è quel grido di dolore delle imprese che stanno morendo di fisco a fare più rumore. Anzi, Squinzi se la prende con una misura in particolare: il contributo di solidarietà del 3% sui redditi sopra i 150mila euro per allargare la copertura finanziaria agli esodati. «Lo vediamo come un ulteriore carico fiscale e non è l'unico», ha chiosato.
Da una parte una Legge di stabilità che fa «molto poco per la crescita, mentre si doveva compiere uno sforzo maggiore», dall'altra parte un rigorismo che non facilita la ripresa e che si somma a uno stato di polizia fiscale. «Meglio provvedimenti più intelligenti che inviare la Guardia di finanza a Cortina o a Forte dei Marmi per prendere le targhe dei Suv. O scoraggiare l'industria nautica. Meglio interventi proattivi come la completa deducibilità di alcuni costi», ha concluso Squinzi, che comunque ha invitato i suoi colleghi a «non perdere l'ottimismo: dobbiamo ritrovare la ripresa».
Le parole del leader degli industriali hanno sviluppato il concetto espresso senza mediazioni dal numero uno dei Giovani di Confindustria, Jacopo Morelli, che si era lamentato di un fisco vissuto come una «confisca» e aveva sentenziato che per chi possiede un'azienda «il tempo della pazienza è finito» e che «è un dovere morale ridare fiducia al Paese abbassando la pressione fiscale». Certo, è una presa di posizione di parte (anche se le imprese chiedono anche meno tasse sui redditi per rilanciare i consumi), ma il problema è che all'orizzonte non si intravede ancora quello spiraglio di luce che il premier Monti e i suoi ministri ogni tanto adombrano. Lo ha spiegato bene - sempre a Capri - l'amministratore delegato di Unicredit, Federico Ghizzoni. «Non dobbiamo farci illusioni sul fatto che il credito tornerà a essere abbondante. Le banche devono aumentare l'offerta», ha dichiarato, sottolineando che «il mercato interbancario di fatto ancora non è ripartito perché le nuove regole di Basilea 3 devono essere lentamente digerite». Inoltre, come ha sottolineato il dg dell'Abi, Giovani Sabatini, le difficoltà potrebbero accentuarsi se le imprese bancarie fossero sottoposte a ulteriori penalizzazioni sul piano fiscale». Non è un mistero che i banchieri di prima fila non abbiano gradito la Tobin Tax perché scoraggia gli investimenti nel nostro Paese.
Un Paese che, come ha denunciato ultimamente anche la Confcommercio di Carlo Sangalli, dove i consumi sono destinati a restare al palo.

Perché «l'aumento dell'Iva non è utile alla crescita».

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