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Monti, lascia stare i Santi All'Italia serve un miracolo

di Non sapendo più a che santo votarsi, li vogliono eliminare tutti. I santi, dico: li vogliono proprio eliminare. E così la mannaia del governo Monti dopo essere caduta sul nostro portafoglio, sulle nostre case, sulle nostre pensioni e sui nostri consumi, casca impietosamente anche sulle nostre feste patronali. Ci mancava: da Sant'Ambrogio a Santa Rosalia tutti messi sul bancone degli accusati, manca poco che mandino Equitalia a verificare se c'è qualche fondo nero nascosto sotto l'aureola. Pare che il commissario Bondi abbia messo in cima alla lista della spending review le stimmate di San Francesco: si sa, è ora di finirla con questi soggetti dalle mani bucate.
La storia della riduzione delle festività per far crescere il Pil è vecchia come la Befana, e infatti non a caso fu proprio l'Epifania una delle prime festività soppresse: la abolirono nel 1977, la ripristinarono nel 1986. Nello stesso anno era stata anche abolita la festa della Repubblica, poi ripristinata nel 2001. Che senso abbia questo giochetto del «togli una festa - metti una festa» è difficile dire, ma dev'essere qualcuno che si diverte a far la tombola con i calendari. Così quando un ministro proprio non sa più che cosa dire, avendo evidentemente esaurito l'abituale scorta di «lotteremo contro l'evasione» e «venderemo i beni demaniali», salta fuori la battuta che assicura un titolo sul giornale: «Aboliremo le festività». Accidenti, che idea originale: è dal 1977 che stiamo abolendo festività (a parole). E per fortuna siamo ancora qui a godercele praticamente tutte, felici come delle Pasque (altra festività, per l'appunto).
Nessuno vuole abolire la Pasqua, per il momento. Ma questa volta nel mirino, oltre ai santi patroni, ci sarebbero pure Ognissanti (abrogazione cumulativa), l'8 dicembre (abrogazione immacolata) e tre festività laiche per questioni di par condicio: il 25 aprile, il primo maggio e il 2 giugno, quest'ultimo già messo e tolto due volte in un avanti-indietro che gli fa guadagnare d'autorità il titolo di «festa yo-yo», la più abolita dagli italiani. Salvi invece il Ferragosto e il lunedì di Pasquetta, che probabilmente sono riusciti ad ottenere una raccomandazione da Moody's o Goldman Sachs. Pare però che Monti potrebbe imporre l'obbligo di festeggiarle entrambe nella Sun Valley con tanto di bermuda arancioni e camicia a scacchi modello Rupert Murdoch e Warren Buffet.
Scherzi a parte, non è ancora chiaro qual sia il beneficio economico che potrebbero portare al Paese 5 o 6 giorni lavorativi in più all'anno, ma immagino che siano ben poca cosa. Sono convinto che basterebbe ridurre di un pelo l'assenteismo o l'ansia scioperaiola di qualche sindacato (i trasporti, per esempio) per ottenere un risultato assai più significativo. Ma soprattutto mi preoccupa un Paese così privo di risorse e di programmi da aggrapparsi a un vecchio ritornello stonato del 1977, pensando di trovare la soluzione a tutti i mali abolendo il ponte dell'Immacolata. Non mi è mai piaciuto il ponte dell'Immacolata, credo di non averlo festeggiato nemmeno una volta passata l'età della scuola dell'obbligo, però santo cielo: davvero i professoroni bocconiani sono convinti che dalla recessione si esca impedendo a un po' di italiani di andare a sciare a Bormio o a Courmayeur?
Non voglio nemmeno star lì a far la conta dei danni che questa misura disperata provocherebbe al turismo (di sicuro equivalenti o maggiori del beneficio prodotto sul Pil). Mi basta pensare alla pochezza di un governo che non sa far altro che tagliare tagliare tagliare, e dopo aver tagliato taglia ancora, e non potendo più tagliare i nostri salvadanai, perché ormai sono vuoti, pensa a tagliare anche le nostre feste, cioè le nostre vite, i nostri ricordi, le nostre tradizioni, tutto quello che ci lega alla nostra terra, la memoria di quand'eravamo bambini e aspettavamo la festa del paese come si aspetta Gesù Bambino, fuochi d'artificio e falò in collina.
La verità è che questo governo di burocrati ragiona con la freddezza della merchant bank e non capisce il Paese. Non si rende conto che in questo momento il Pil, paradossalmente, aumenterebbe se gli italiani recuperassero la voglia di fare un po' di fuochi d'artificio, altro che abolirli: c'è bisogno di ritrovare la festa, non di eliminarla, c'è bisogno di ritrovare la voglia di sorridere, di correre, di sperare, di osare, di togliersi da questa depressione cronica, questa cupa sobrietà con cui si va a lavorare anche il 1º maggio e il 1º gennaio, se si è obbligati, ma non si produce nulla perché la vita non è fatta solo di spread e Btp. E non si può lavorare bene mentre ti portan via la vita, la fiducia, i sogni, ora persino i patroni. Poveretti questi ministri, fan pena oltre che rabbia: pensano di salvare il Paese prendendo a calci San Giovanni e San Gennaro e non capiscono che dovrebbero tenerseli buoni, invece. Perché solo uno dei loro miracoli a questo punto potrebbe salvarli.

E salvarci.

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