Politica

Monti, l'uomo di larghe intese che ha boicottato ogni accordo

La vanità politica del Prof ha tradito i cittadini che adesso vedono i motivi della sua "salita in campo". Voleva posti di potere ma si ritrova isolato tra l'irritazione di tutti

Il premier Mario Monti durante le operazioni di voto a Palazzo Madama
Il premier Mario Monti durante le operazioni di voto a Palazzo Madama

Roma - Polvere di stelle. Quel che resta del sogno di Mario Monti ha a che fare con la dissipazione, con il gesto del folle «gettar via da sé» che per gli antichi era colpa grave e che il pessimismo moderno fa coniugare con la droga dell'ambizione. Ambizione che rende «colui che vi si dedica un demente in potenza», scriveva Cioran.
Eppure non basta ancora, per spiegarsi l'inesplicabile: la trasmutazione del super partes in uomo di parte. In quella figura «pienamente dentro un gioco politico» denunciata da Bersani. In altri termini, sfugge ancora come l'uomo che avrebbe dovuto unire l'Italia per donarle salvezza, stabilità e speranza si sia capovolto nell'uomo della discordia, nel politico centrista avvezzo ai vizi della politica al punto di formulare proposte «oscene», tanto per usare la sdegnosa sorpresa di Gasparri (che pure è uomo di mondo).
Risulterebbe avventato - tanto più per le nuove forme sperimentate dal premier uscente - darlo per finito. «Non si sa mai nella vita», dice Bersani di Monti al Quirinale. E non ci stupiremmo di una terza versione di quel che fu il brillante rettore della Bocconi e commissario europeo insignito da Berlusconi. Quel che «mette sull'avviso» è piuttosto il tono di Bersani, che ne parla come se si trattasse di scoria dello «scilipotismo» e non del (presunto) salvatore d'Italia, scaduto a trattativista per se stesso, come più di uno dei suoi ha fatto intendere durante le sedute inaugurali di Palazzo Madama, stupendosene a propria volta.
«Esoso» il prezzo preteso per concedere i suoi venti voti per Schifani, «osceno» il sistema di voto escogitato per testimoniare le «bianche» (in fretta e furia, con scheda quasi esibita aperta), «oscene» le profferte avanzate con insistenza e sprezzo del pericolo (o ridicolo) persino davanti alla platea senatoriale, quando nell'emiciclo s'intratteneva con Sposetti e Calderoli, Quagliariello e Gasparri, per poi farsi relazionare da Mario Mauro e tornare su Denis Verdini. E ancora, telefonicamente, ora con Schifani ora con Bersani, in attesa di poter avvicinare Berlusconi. Così è apparso e così sarà, se è vero - com'è vero - che è dovuto intervenire Napolitano a decretare un primo stop e una definitiva «sconsacrazione» del tecnico fatto assurgere al seggio vitalizio. Non si tratta di gioco politico finito male. Nel caso di Monti è oltraggioso il modo e, prima che per gli italiani, per se stesso. Per chi aveva creduto in lui.
La vanità politica del Prof ha tradito il Paese. Nello schema propostogli da Napolitano, sapevamo che avrebbe dovuto essere il preludio di saggezza che consentisse a Bersani di arrivare a Palazzo Chigi senza traumi. Magari per essere poi pronti alla riconoscenza, con l'ascesa al Colle. O, nel caso di elettorato diviso a metà, di potersi rivolgere a lui come al nonno buono. Sappiamo che non è andata così, e sappiamo ora come ci fosse uno schema personale, un piano «B» i cui interlocutori non si trovavano in Italia, che vedevano in Monti l'uomo capace di dividere il centrodestra attirando gli elettori di Berlusconi fino a rendere quest'ultimo ininfluente nello scacchiere italiano. Soltanto così ci si può forse spiegare l'inesplicabile «salita in campo» (adesso comprendiamo la perfidia voluttuosa di quella salita), i toni via via così distanti dal Monti statista, l'irritazione di Napolitano, la delusione di Bersani e Berlusconi (almeno in questo uniti). Voleva solo un posto al sole.

Si ritrova solo, e la compagnia non è delle migliori.

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